Les pédagogies alternatives pour les nuls (préface Antonella Verdiani)

Catherine Piraud-Rouet, Stéphane Martinez (illustrations)

Je ne crois pas me tromper si j’affirme que nous assistons actuellement à un véritable boom dans le domaine de la « créativité éducative », en désignant par ce terme non seulement l’inventivité dont les enseignants passionnés font preuve, depuis toujours, entre les murs de leurs classes, mais surtout le constat d’un phénomène d’ordre sociétal, totalement inédit. Car c’est d’une réappropriation citoyenne de la question éducative dont il s’agit dans nos pays  «occidentaux », notamment la France en première ligne.

Le changement vers une éducation de qualité, c’est l’affaire de tous. C’est une question majeure qui nous interpelle au même titre que les enjeux écologiques ou énergétiques, qui mobilisent aujourd’hui des milliers de citoyens.

Les premiers concernés par ce phénomène sont les professionnels du secteur : ces enseignants qui, malgré le carcan du système, font le choix de rester et d’y contribuer par des solutions pédagogiques nouvelles. Mais, ce qui était impensable il y a seulement quelques années, c’est de constater la présence d’autres acteurs nouveaux dans ce paysage. Je me réfère, par exemple, à ces parents qui décident d’ouvrir des écoles alternatives au système public, des écoles ouvertes, démocratiques, coopératives, en un mot, différentes. Eux aussi sont des nouveaux « éducateurs » qui, exaspérés par l’imposition d’un seul et unique modèle porté par l’institution, s’éveillent à leur propre responsabilité et revendiquent non seulement la liberté de choix du type d’éducation (et pas uniquement d’école) pour leurs enfants, mais aussi de la pédagogie la plus adaptée.

C’est une vague déferlante qui nous transforme en militants, en acteurs de la transition, et en « tisserands », pour paraphraser le philosophe Abdennour Bidar, attelés à une œuvre commune, celle du « renouveau éducatif ». Je crois, à ce propos, que le nouveau paysage éducatif a effectivement besoin d’éducateurs formés aux pédagogies nouvelles (de cent ans !) comme Montessori ou Freinet ou Steiner, et d’autres décrites dans cet ouvrage. Mais il faudra aller de l’avant : pour sortir du domaine de l’expérimentation et souvent, hélas, du dilettantisme dans lequel certaines écoles dites « innovantes » baignent, il faut bien évidemment continuer de se valoir des nouvelles connaissances en neurosciences. Mais il faudra surtout avoir le courage d’approfondir chaque démarche pédagogique, pour qu’elle soit accompagnée par un protocole rigoureux de recherche-action et que, par exemple, les conditions de sa mise en œuvre soient observées par les yeux d’enseignants-chercheurs expérimentés. Car, comme le dit Philippe Meirieu, « les neurosciences ne feront jamais la classe ! »

C’est à ce propos que ce livre tombe à pic. Il est une bible d’informations, de données mises à jour et de références nécessaires à tous ceux qui veulent s’initier à la « question éducative » en leur rappelant les bases historiques. Mais il nous exhorte aussi à l’approfondissement, à la formation et à la  recherche, à la construction de bases solides nécessaires à toute innovation dans le domaine éducatif.

Merci donc à Catherine Piraud-Rouet d’avoir rendu accessible le monde de l’éducation, auparavant réservé à des cercles d’initiés, à tous ceux « tisserands » que nous sommes. Merci aussi d’avoir donné davantage de visibilité à « ces écoles qui rendent les enfants heureux » que j’avais évoquées pour la première fois dans mon livre Ces écoles qui rendent nos enfants heureux : des initiatives pionnières comme celles de Last School en Inde, de Brockwood Park School en Angleterre, d’Altinopolis au Brésil ou de l’école Jonathan au Québec, qui méritent d’être mieux connues pour qu’on puisse continuer de s’en inspirer en France et ailleurs. 

Dì, quando si è morti, è per tutta la vita?

Una nuova formazione in Italia…

Morire è una malattia? dove andiamo quando moriamo? Avrete sicuramente sentito i vostri figli o alunni, i bambini (anche piccoli) a scuola o in famiglia, porsi e porvi queste domande alle quali non si tratta di dare risposte preconfezionate. Come fare allora a farle emergere liberamente? A parlarne dando spazio ed accoglienza alle emozioni che susciteranno in loro e anche in noi?

Obiettivi formativi

  • Favorire l’emergenza delle domande poste dai bambini sulla morte e sul lutto, saperne e poterne parlarne
  • Imparare ad accogliere le emozioni legate alla morte
  • Fornire conoscenze teoriche sull’evoluzione delle rappresentazioni della morte secondo i periodi dell’infanzia/ giovinezza

Contenuti

  • L’evoluzione della rappresentazione della morte nei bambini secondo i periodi di età. Il bambino di fronte alla morte: il pensiero magico; la paura della morte (che ci rimanda alla nostra stessa morte); l’emergere della consapevolezza di sé.
  • L’espressione di emozioni e sentimenti legati alla morte attraverso l’arte (laboratori di espressione artistica, narrazione, danze, canzoni, disegno)
  • I cicli della vita e della natura: i diversi lutti (animali, fratello o sorella, nonni, ecc.); la vita di un albero o di un fiore (connessione alla natura)
  • Saper accogliere domande e silenzi sulla morte; saper parlare della morte con parole semplici (imparare ad accompagnare un gruppo di parola)

Mezzi pedagogici : Contributi teorici. Laboratori artistici e connessione con la natura. Cerchio di parola e scambi tra i partecipanti.

Destinatari : la formazione è aperta a tutti, soprattutto a coloro che sono in contatto con i bambini (o con la parte di bambino/a in sé 🙂 )

Durata:  sono possibili diverse formule che vanno da 1 giorno di sensibilizzazione a 4 giorni in co-animazione (contattatemi in risposta a questo articolo).

TESTIMONIANZA (dopo stage)

Abbiamo* appena tenuto un seminario intitolato con questa bella questione esistenziale, presa dalla domanda di un bambino vero: “Dì, quando si è morti, è per tutta la vita? « .

Abbiamo trascorso tre giorni intensi con delle educatrici (la maggior parte donne, come molto spesso accade) e un (singolo) educatore della prima infanzia (ci congratuliamo per il suo coraggio!), degli splendidi giovani a contatto quotidiano con bambini in età da pochi mesi a 5 anni. Si tratta quindi di un periodo prescolare durante il quale si pensa, spesso a torto, che la questione della morte non faccia parte della vita dei più piccoli.

Vogliamo  porre l’attenzione su alcuni punti riguardanti l’approccio adottato dalla formazione che ha alternato apporti teorici e con quelli pratici (giochi di ruolo, movimenti, danza, arte, ecc.). Come formatrici, avevamo fatto la scommessa che questo corso potesse trasformarsi in un momento di evoluzione personale per tutti i partecipanti, noi comprese.  Possiamo dire oggi di non esserci troppo sbagliate, pur tenendo conto delle evidenti difficoltà di alcune persone a farsi coinvolgere “anima e corpo” in ciò che abbiamo proposto.

Primo: la morte ci parla di noi

Per prima cosa,  abbiamo notato quanto il parlare della morte in generale, e in particolare con i bambini, ci riporti al nostro rapporto con la morte, la nostra stessa morte e quella delle persone che amiamo. Attraverso un viaggio di esplorazione anche dei luoghi comuni su questo argomento, abbiamo compreso quanto sia fondamentale e persino necessario affrontare ciò che regolarmente intralcia i nostri impulsi vitali, la nostra capacità di costruire legami sani e pacifici con il nostro mondo… E dare un nome a ciò che, nella scala delle emozioni e delle cause di blocchi e conflitti, è in cima alla lista: la paura di morire.

Ma attenzione! Non abbiamo mai avuto la pretesa, né l’avremo, sul fatto che un corso di tre giorni possa risolvere tutti i problemi generati da questa paura profonda e comune a tutti. Crediamo invece che questi momenti di interrogazione ci invitino a scoprire le nostre zone d’ombra (da esplorare in luoghi terapeutici appropriati).

Secondo: si tratta di parlare di morte « con i » – e non « ai »- bambini

Questo implica che noi adulti (genitori, nonni, insegnanti, educatori in senso lato), dobbiamo adottare una postura di accompagnamento. Non si tratta quindi di dire loro cosa sia o non sia la morte, ma di invitarli a esprimersi su questo tema. E qui saremo sorpresi, perché spesso i bambini già « sanno » molto più di quanto immaginiamo sulla questione. Anche perché, a seconda della loro età, certi bambini hanno sviluppato una riflessione esistenziale (che si esprime spesso nei “laboratori di filosofia” con i più grandi) estremamente saggia e matura.

Inoltre, come formatori, per rispondere ai dubbi di alcuni partecipanti (per esempio: dobbiamo parlare loro di morte anche « fuori contesto scuola »?), crediamo che non sia necessario aspettare che la morte si presenti nella vita di un bambino con la partenza di una persona cara, anche a scuola. Riteniamo invece che la questione della morte debba essere inserita nella storia delle natura umana, animale e vegetale, ad esempio introducendola nei corsi di scienze naturali, di biologia, di chimica ecc., per i ragazzi più grandi. Così come sono da favorire, in ambito prescolare e scolastico, tutte le attività artistiche (disegno, canto, filastrocche,  compreso il movimento e la danza libera), affinché i bambini possano esprimersi in modo più libero in alternativa o in complemento alla verbalizzazione.

Se accade che un genitore o un amico del bambino muoiano, noi educatori dobbiamo essere disposti ad accettare la situazione con un atteggiamento più sereno possibile, accogliendo anche le nostre stesse emozioni (sapendo che l’educazione emozionale dovrebbe essere inserita dalla scuola materna in poi).

Su questo tema, ci ha rafforzato la testimonianza di una eccellente professionista, Josée Masson in diretta dal Québec, che in seno all’associazione « Deuil-Jeunesse » (https://deuil-jeunesse.com) si occupa di dare sostegno ai giovani che hanno subito una perdita. Siamo stati tutti commossi dalle parole piene di umanità di Josée:… demistificare per andare sempre più verso la fiducia e l’amore; non giudicare, ma imparare ad accogliere come educatori perché non esiste il lutto “giusto”, ma solo quello che viviamo.

Terzo: la morte fa parte della vita

Può sembrare banale, ma il fatto di presentare la morte come la fine di qualsiasi processo è fonte di grande angoscia anche tra i più piccoli. Ancora una volta, non si tratta di condurre i bambini a sposare le nostre proprie convinzioni, come l’esistenza di un aldilà per i credenti, ma di collocare la morte nel processo della vita. Ad esempio, se nella presentazione del ciclo umano spiegato ai bambini mettiamo la nascita come prima tappa e la morte come ultima, il risultato sarà una visione della Vita molto più globale e armoniosa, accessibile anche ai più piccoli.

E se, all’interno di questo stesso processo spiegato ai bambini, collochiamo anche la possibilità dell’imprevisto e dell’imprevedibilità dell’esistenza, potremmo educarli ad accogliere più facilmente eventi tragici, come la morte prematura di un amico o di un parente.

Quarto: l’arte è una porta tra il visibile e l’invisibile

Crediamo anche, avendolo sperimentato e condiviso in questi giorni, che l’approccio artistico o poetico possa essere un accesso per avvicinarsi alla nostra “finitudine”. In effetti la pratica dell’arte (danza, musica, pittura, ecc.) ci interroga sulla nozione di tempo: temporalità contro atemporalità. Lo spazio-tempo suggerito da un’opera d’arte, dalla sua contemplazione o dalla sua pratica, ci permette di toccare i due mondi del visibile e dell’invisibile, con tutti i nostri sensi risvegliati.

Da questa piena presenza, aperta al mondo sensibile, può scaturire una migliore consapevolezza di sé, ad ogni momento. Il ché può rivelarsi molto utile il giorno della nostra partenza dall’altra parte… Ballare, cantare, suonare, vivere con creatività in piena comunione col momento presente.

Per concludere…

In una società sempre più aperta al transumanesimo e alle sue nefaste conseguenze, crediamo che l’educazione alla morte diventi un’emergenza e una necessità per i giovani. Sappiamo, come abbiamo visto in questi tre giorni, che introdurre la morte come un soggetto “normale”, demistificarla e riuscire ad affrontarla senza appesantirla con le nostre proiezioni, non è facile.

Ma questi momenti hanno rafforzato la nostra convinzione che l’unico modo per accedere a un rapporto sano con la morte è ritornare all’atteggiamento che i bambini hanno spontaneamente verso di lei : senza paura, e anche con gioia, dovremo dimenticare tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere sul suo conto, immaginare di non sapere più nulla (soprattutto ciò che ci è stato inculcato da generazioni), pronti a lasciarci sorprendere dalla nostra capacità di meravigliarci.

Antonella Verdiani

 * in co-animazione con Anne Caloustian, artista, musicista, poetessa, clown ed insegnante.

Apprendre à être, l’éducation transdisciplinaire

Dans
les années trente Maria Montessori, donnant un cycle de conférences sur
l’éducation et la paix,  s’exprimait
ainsi : “ L’enfant est pour l’humanité à la fois un trésor et une
promesse. En prenant soin de cet embryon comme de notre trésor le plus
précieux, nous travaillons à faire grandir l’humanité. Deux choses d’abord sont
nécessaires pour la paix dans le monde : tout d’abord un homme nouveau, ensuite
la construction d’un environnement qui ne doit plus fixer de limites aux
aspirations infinies de l’homme. ”

A
peu près en même temps, la science passant de l’ère newtonienne à la révolution
quantique, transformait la vision du monde : la physique moderne révèle,
en effet, l’unité fondamentale de l’univers qui peut se percevoir de façon
globale et non-fragmentée. Aujourd’hui, ce changement de paradigme est
intellectuellement intégré. 
Il
est donc proposé d’appliquer cette vision non-fragmentée du monde à
l’éducation,
et aussi de définir l’éducation transdisciplinaire non comme
une méthode, mais comme un processus,  une possibilité de “ devenir et
d’être ” qui serait offerte à tout individu par cette approche éducative
globale.
Le
psychosociologue Pierre Weil, dans son ouvrage L’Art de vivre en Paix développe
une méthode d’éducation pour la paix sur cette base : “ Une
approche holistique tend à réveiller et à développer aussi bien la raison que
l’intuition, la sensation que le sentiment. Ce que l’on recherche, c’est une
harmonie entre ces fonctions psychiques. Cela correspondrait sur le plan
cérébral à un équilibre entre le cerveau droit et le cerveau gauche, et à une
circulation de l’énergie entre les couches corticales et sous-corticales du
cerveau ainsi que dans le système cérébro-spinal. Alors que l’instruction met
l’accent sur le contenu d’un programme et l’acquisition d’un ensemble de
connaissances, l’approche holistique montre comment chaque situation de
l’existence offre une possibilité d’apprendre. Dans cette approche, on souligne
aussi la capacité d’apprentissage et on la développe. Le contexte global et
particulier de toute situation acquiert une importance équivalente. Enfin,
l’éducation traditionnelle a tendance à conditionner les êtres humains à vivre
exclusivement dans le monde extérieur, alors que l’approche holistique se
tourne aussi bien vers le monde extérieur que vers le monde intérieur. ”
La
vision transdisciplinaire englobe ainsi une compréhension du monde non
seulement intellectuelle mais aussi sensible, par la prise en compte de la
créativité et de l’art
, entendu comme potentiel de créativité présent dans
chaque individu. La spiritualité et par elle, la dimension expérientielle de la
vie spirituelle, sont des composantes majeures dans cette approche.
Je
pense qu’il est urgent que le monde de l’éducation, non seulement celui de la
recherche, mais l’école, prépare et éduque les enfants et les jeunes à cette
vision du monde. Ceci sera possible si on s’attellera à leur proposer, entre
autres, des outils pour “ vivre ensemble ” et pour “ apprendre à
être ” par une éducation basée sur le partage des valeurs inter- et
trans-culturelles, philosophiques et spirituelles.  
Dans
cette optique l’éducation transdisciplinaire consiste notamment à retrouver le
véritable sens d’origine de “ éduquer ”, c’est-à-dire “ tirer
hors de ”
, en réveillant et en développant chez l’individu aussi bien
la raison que l’intuition, la sensation que le sentiment, dans une vision
transdisciplinaire
.  
Cette
vision s’oriente vers une société éducative selon le concept de
l’éducation tout au long de la vie,  pour
la construction continue de l’individu et pour faire face aux défis d’un monde
en changement rapide.  Comme le dit également
le philosophe Michel Serres (lorsqu’il propose de créer un tronc commun
universitaire), il est nécessaire d’unifier les individus dans une vision de la
vie qui se fonde sur des valeurs universelles communes à toutes les
sociétés, tout en intégrant les valeurs spécifiques à chaque culture et
chaque être humain. Développer le sens de la responsabilité et l’esprit
critique
tel est  l’objectif
de l’éducation transdisciplinaire : de plus, les enfants et les jeunes
d’aujourd’hui sont éduqués selon un système qui les pousse à la compétitivité
et à la compétition. C’est pourquoi, surtout dans les temps qui courent, il est
devenu urgent que l’école apprenne à gérer les conflits entre les individus
d’une façon non-violente
pour transformer des comportements destructifs en
actions constructives du point de vue individuel, social, politique et
économique.

Au delà de la laïcité, la rencontre

Ces derniers jours les murs de nos écoles sont tapissés d’affiches colorées arborant les 15 articles de la charte de la laïcité à l’école. Déjà promue sous le Ministère de l’éducation nationale précédent, elle réapparait en force à l’occasion des derniers faits de violence et les mesures conséquentes prises par la Mobilisation de l’école pour les valeurs de la république. Les règles et les normes de la laïcité y sont illustrées, et l’article 8 qui concerne l’exercice de liberté d’expression des élèves, est celui qui suscite le plus de discussions. « Pourquoi, demandait l’élève Rached à son enseignante de collège, si vous dites que la France respecte toutes les croyances, pourquoi on accepte les dessins blasphèmes de Charlie Hebdo et on ne respecte pas ma religion ? ».
La question est très bonne, je dirais même que c’est LA question du jour. La réponse est difficile, sa compréhension ardue, non seulement pour Rached qui a 12 ans, mais pour tous ceux qui, comme moi, s’interrogent sur le sens de cette laïcité en général, à l’école en particulier. Quelle est donc cette loi qui affirme que dans une société laïque comme la France, «le respect de toutes les croyances va de pair avec la liberté de critiquer toutes les religions, quelles qu’elles soient » ? Allez-donc expliquer la nuance à tous les Rached qui peuplent les cités de nos banlieues, tous les Mohammed et les Yasmina qui se voient offensés et provoqués dans leur croyance. Donnez-leur les clés de cette interprétation équilibriste entre le respect et la liberté de critique… Et, puisque nous y sommes, aller leur expliquer aussi la différence entre critique et provocation.
Dans un élan gigantesque de fraternité (autre valeur à apprendre dans l’éducation à la citoyenneté), et d’humanité retrouvée au lendemain des violences, nous avons été tous Charlie. Nous sommes descendus dans les rues manifester, et des familles entières, avec des enfants par la main et en poussette, ont défilé pour la paix « parce que on ne tue pas les gens quand on n’aime pas un dessin, on en fait un autre plus joli » comme le disait Léa, 5 ans. Mais aujourd’hui non, je ne suis pas Charlie, parce que se mobiliser pour les valeurs de la république n’est pas céder à la confusion qui règne entre liberté d’expression consciente et négation du respect de la croyance de l’autre. Aussi, je ne suis pas Charlie parce que je ne peux cautionner ceux qui par simple provocation, s’amusent à déstabiliser et discréditer la grande majorité des français musulmans, y compris à l’école.
Dans ce sens, je souhaite que à l’école soient enseignés, avec les valeurs de la république, aussi l’esprit de discernement, la lucidité, la critique constructive. Et que dans les débats sur la morale et la citoyenneté, on puisse exercer la liberté de remettre en cause le concept de laïcité actuel qui n’a plus grande chose à voir avec ses nobles origines. Mot obscur pour la plupart des élèves, la laïcité fait son entrée à l’école au XIXe siècle, le souci étant à l’époque de s’affranchir des pressions religieuses, l’église catholique en première. Le projet d’une école laïque qui accueille tous les enfants, sans distinctions d’origine, de sexe ou d’option spirituelle de leurs parents, est né de cette volonté, inspiré par un idéal commun, une sorte de neutralité républicaine.
Sauf que l’école a changé, des enfants de cultures inconnues à l’époque des Lumières, remplissent aujourd’hui des classes multicolores, multi-races, multilingues, des descendants de migrants musulmans s’asseyent dans les bancs à coté de leurs camarades chinois nés en France de troisième génération. Leur demander, au nom d’une laïcité qui lisserait toute différence, de nier leur appartenance culturelle et religieuse équivaut à une injustice, une imposition et une autre doctrine, elle devient « une machine à produire de la différence » comme nous disent des éminents sociologues de l’éducation*. Détournée de sa mission d’origine de service à un projet d’intégration des minorités, la laïcité risque ainsi de se transformer en outil d’agression, jusqu’à engendrer pour ces mêmes minorités la peur de l’Autre, alors que l’école est supposée être le lieu du vivre ensemble.
Il faudra alors faire un pas vers l’Autre, il faudra nous rencontrer. Nous rencontrer pour nous connaître et apprendre, oui je dis bien apprendre, d’un Rached et d’une Yasmina aux accents arabes, mais aussi d’un Irwin et d’une Liuba tziganes, que ce qui est différent de moi (par langue, culture, religion,…) ne peut que m’enrichir, me construire. Les rencontrer c’est la seule façon de ne pas les diaboliser car la ségrégation construit des monstres. L’ignorance conduit à l’amalgame, et la confusion s’engendre, comme lorsque on confond un Islam riche de sa culture millénaire avec un terrorisme intégriste produit de l’ignorance et de la misère.  Rencontrer à l’école un rabbin, un imam, un prêtre, inviter des parents musulmans ou bouddhistes ou juifs nous expliquer leur manière de voir le monde, leur culture, les valeurs qui inspirent leurs religions, n’équivaut pas à leur déléguer l’enseignement du fait religieux qui doit rester la prérogative de l’enseignant, mais à les connaître d’abord comme humains, nos semblables.
Cette ouverture est la seule condition pour que le dialogue naisse. Un dialogue qui, avant de devenir national, international, interreligieux, interculturel,… tout ce dont on entend débattre ces jours-ci à niveau politique, doit d’abord être pratiqué au niveau de l’individu. La rencontre devient ainsi éducative et fait grandir pour « élever les consciences des enfants », selon un terme utilisé non pas par un guru mais par un ministre de l’Éducation nationale. Soyons donc plus ambitieux : faisons de l’école, non seulement l’espace privilégié de l’éducation aux valeurs républicaines de la France, mais le lieu d’élévation vers les valeurs universelles communes à toute l’humanité.

Antonella Verdiani
Présidente,
Printemps de l’éducation

* Béatrice Mabilon-Bonfils, Geneviève Zoïa, La laïcité au risque de l’Autre, Ed. de l’Aube, 2014

Retrouvez cet article sur le site du Printemps de l’éducation:

Trucs et astuces pour ouvrir une école différente

Atelier à Paris avec Laetitia Sauvage

            co-fondatrice de L’Ecole Oasis des enfants, Ile de la Réunion                 

Comment créer une école une école « différente » des écoles du système conventionnel, plus libre, plus ouverte aux valeurs de solidarité, coopération entre les élèves, partage entre les enseignants, bien-être… ? Cela semble un rêve impossible à réaliser pour beaucoup de parents et professionnels de l’éducation qui sont découragés parfois par l’importance administrative des démarches, par le fait que ces écoles doivent se situer (au moins au début) dans le privé, donc inaccessibles par les frais de scolarité à la majorité des familles, par le manque de place, de bâtiments conformes eux règles, … Pourtant, des exemples existent et fleurissent tous les jours dans la planète ! Et même en France, de pareils rêves se concrétisent !
Voici l’exemple de Salanganes, association éducative qui a posé la première pierre d’une école maternelle et primaire à l’Ile de la Réunion. L’Oasis des enfants ouvrira ses portes à la rentrée 2014/2015 et accueillera des enfants de 4 à 11 ans. C’est une école plurilingue, artistique et écologique qui a pour vocation de devenir une école publique expérimentale. Comment ont-ils fait ? Quelle a été la méthodologie adoptée ? Le processus ? Quels « trucs et astuces » après 4 années d’expérimentation peuvent être partagés ?
Pendant une journée, Laetitia Sauvage une des fondatrices de ce projet, vous ouvrira les portes de son expérience dans la création de cette école « de rêve» et pourtant concrète. Elle témoignera de l’importance de clarifier votre intention et votre vision avant de vous lancer. Des exercices vous seront proposés ainsi que les premiers éléments d’une méthodologie de projet, base d’une formation que nous vous proposerons.

   
( à revoir… TEDx :https://www.youtube.com/watch?v=9ryWNepzPDk )


Après un Master en Communication interculturelle spécialisé en Didactique des langues, Laetitia Sauvage est engagée dans un travail de recherche doctorale en Sciences de l’éducation. Fondatrice d’un centre de ressources pour l’enfance dont elle coordonne aujourd’hui les différentes activités, elle intervient actuellement après 5 années d’enseignement universitaire auprès d’un public adulte dans le cadre de la formation professionnelle. Plusieurs stages en lien avec la formation continue, la communication non violente et les processus d’intelligence collective complètent son parcours qu’elle oriente essentiellement vers la recherche et l’innovation pédagogique. Aujourd’hui responsable pédagogique de Salanganes, centre de ressources pour l’enfance, elle coordonne offre de formation, accueil pédagogique innovant et mise en place d’une école alternative.


Trucs et astuces pour ouvrir une école différente | Printemps de léducation

Lieu : Paris (adresse à préciser selon le nombre d’inscrits)
Coût de la journée : tarif plein 80€ – tarif étudiant et chômeur 50€ (nous consulter si difficultés). 

Pour une enfance heureuse

Un livre fondamental pour comprendre les mécanismes cérébraux, mais surtout pour apprendre quelles sont les conséquences de la VEO, la Violence éducative ordinaire sur les enfants et les futurs adultes…A lire et relire! 
par Catherine Gueguen, pédiatre
Des découvertes récentes sur le développement du cerveau bouleversent notre compréhension de l’enfant quant à ses besoins affectifs essentiels pour devenir 
un être humain épanoui.

Qu’est-ce qui favorise le bon développement de l’être humain ? Les progrès réalisés ces dix dernières années dans la connaissance du cerveau affectif de l’enfant sont considérables et nous permettent de mieux répondre à cette question.
Ces découvertes scientifiques vont toutes dans le même sens, modifient notre compréhension de l’enfant et nos idées préconçues sur une bonne éducation : une relation « idéale », empathique, soutenante, aimante se révèle la condition fondamentale pour permettre au cerveau d’évoluer de manière optimale pour déployer toutes ses facultés affectives (vécus et expression des émotions, sentiments, capacité relationnelle) et intellectuelles (mémoire, apprentissage, réflexion).
Durant les premières années de la vie, le cerveau est très vulnérable : les relations des parents et de l’entourage avec l’enfant ont des effets profonds sur les structures et les circuits cérébraux, sur le développement global de son cerveau, qui n’atteindra sa maturité qu’à la fin de l’adolescence. Ces relations retentiront ainsi de façon déterminante sur le comportement social et cognitif de l’enfant, notamment sa capacité à surmonter le stress, à vivre ses émotions et à exprimer son affectivité.
La particularité du cerveau de l’enfant est d’être très  malléable, (il se modifie), très immature et très vulnérable. Durant tout son parcours de vie, les premières années d’un être humain sont les années durant lesquelles son cerveau est le plus fragile.
Tout ce que va vivre l’enfant , toutes ses expériences affectives, relationnelles  vont s’imprégner au plus profond de lui, dans son cerveau, modifiant , modelant, ses neurones , ses circuits cérébraux, ses molécules cérébrales, ses structures cérébrales et même l’expression de certains gènes.
Quand l’enfant a la chance d’avoir autour de lui des adultes attentifs, bienveillants, aimants, empathiques, l’enfant va se développer au maximum de ses possibilités aussi bien au niveau intellectuel qu’affectif.
A contrario, quand l’enfant est entouré d’adultes durs, rigides, non empathiques, les conséquences se feront sentir sur sa santé physique, psychologique ( anxiété, dépression, agressivité) et sur son intellect.
Un autre point important à connaître est de savoir que le cerveau de l’enfantextrêmement immature explique que l’enfant n’est pas encore capable de faire face à ses  émotions.
Par exemple, nombre d’adultes se plaignent que leur enfant de trois ans fait des caprices, des colères, hurle,  a des cauchemars, ne veut pas dormir seul etc……. Mais c’est normal à cet âge ! La partie du cortex qui contrôle nos impulsions ne commence à mûrir qu’entre 5 et 7 ans. En dessous de 5 ans, le cerveau archaïque et émotionnel domine et l’enfant se contrôle difficilement : il tempête pour obtenir ce qu’il aime, de même qu’il est traversé par des peurs incontrôlées, de véritables angoisses et de très grands chagrins. Il ne s’agit ni de caprices, ni d’un trouble pathologique du développement mais la conséquence d’une immaturité  de son cerveau……
Nous adultes nous avons dans notre cerveau une structure très complexe, le cortex préfrontal, qui nous permet quand nous sommes envahis d’émotions désagréables, d’analyser la situation, d’y réfléchir, de prendre du recul, de réaliser que nous pouvons agir autrement.
Le cortex préfrontal chez l’enfant n’est pas du tout mature, les circuits qui relient ce cortex avec le cerveau émotionnel ne sont pas encore bien fonctionnels. Son cerveau émotionnel et archaïque sont dominants. C’est pourquoi l’enfant va réagir impulsivement soit en attaquant soit en fuyant, c’est le cerveau archaïque. L’enfant petit reçoit les émotions de plein fouet, sans filtre, sans possibilité de s’apaiser seul. Quand il est en colère, quand il est triste, angoissé, a peur, ses émotions sont extrêmement intenses, sans avoir la capacité de s’apaiser, de se consoler seul. Il ne peut pas. Quand l’entourage ne console pas l’enfant, il est en proie a des molécules de stress (cortisol, adrénaline…) très toxique pour son cerveau en développement.
Un comportement affectueux a un impact positif considérable sur la maturation des lobes frontaux de l’enfant. Il parviendra alors plus rapidement  à gérer  les émotions  envahissantes et les impulsions de son cerveau émotionnel et archaïque. Ce moment de la vie de l’enfant où il est soumis à de véritables tempêtes émotionnelles ne durera pas si les adultes apaisent l’enfant au lieu de le réprimander plus ou moins violemment, en le menaçant, en criant, en s’énervant, en punissant ou en  frappant. Chaque fois que l’adulte rassure, sécurise, console, câline l’enfant, a une attitude douce, chaleureuse, un ton de voix calme, apaisant, un regard compréhensif, il aide l’enfant à faire face à ses émotions et à ses impulsions.
Etre empathique, aimant ne veut pas dire céder à toutes ses envies, à toutes ses impulsions. Dire non, lui transmettre des valeurs, lui donner des limites passent d’abord par notre attitude. Nous sommes un modèle pour lui. Les limites seront données avec calme et douceur sans jamais lui faire peur.
La peur, le stress sont très néfaste pour son cerveau immature. La structure cérébrale qui apaise la peur n’est pas encore développée chez l’enfant. Nous adultes, avons les structures cérébrales qui nous permettent de faire face aux peurs et de pouvoir calmer notre amygdale cérébrale, centre de la peur. L’enfant lui ne peut pas calmer son amygdale cérébrale. La peur est donc très nocive durant les premières années de vie.
Le stress quand il est intense détruit des neurones dans de nombreuses parties du cerveau……Les paroles utilisant le chantage, les menaces, les paroles dévalorisantes, les gestes brusques ou brutaux : pousser l’enfant, le tirer, ou le frapper , faire peur à l’enfant en criant, faisant  les gros yeux.  Toutes ces attitudes  provoquent un stress très important très préjudiciable pour le cerveau de l’enfant. : l’enfant devient anxieux, déprimé, triste …….
Quand l’enfant est stressé son organisme sécrète de l’adrénaline, du cortisol, molécules qui en quantité modérée ne sont pas nocives mais qui  deviennent très toxiques quand leur sécrétion est fréquente et abondante. Lors de stress important, chronique  le cortisol  peut détruire les neurones dans des structures cérébrales très importantes (cortex frontal, hippocampe, amygdale, cervelet, corps calleux).
La peur empêche de penser et d’apprendre.
Apprendre est essentiel pour un enfant. Il a soif d’apprendre, de découvrir, de comprendre. Plus l’apprentissage baigne  dans une atmosphère soutenante et encourageante pour l’enfant, meilleures seront sa mémorisation et sa compréhension. Le stress qui règne dans une classe, la peur du regard des autres ou  de paraître nul devant le professeur  et les camarades de classe, peuvent sont contre performants et altèrent l’apprentissage.
Le stress subi par l’enfant quand il étudie peut diminuer le nombre de neurones dans l’hippocampe, (structure dévolue à la mémoire et à l’apprentissage) voire même les détruire.
Quand les enseignants intègrent ces connaissances sur les effets délétères du stress sur le cerveau de l’enfant, ils modifient leur manière d’enseigner et  les enfants ne subissent plus de pression inutile. L’ambiance dans la classe devient agréable aussi bien pour l’enseignant que pour les enfants. Ils sont alors disponibles pour apprendre et les résultats s’améliorent.
En effet, que se passe-t-il au niveau de l’hippocampe quand les professeurs pressurisent leurs élèves, ont des paroles négatives, blessantes, humiliantes ? : « Tu ne comprends rien, tu es vraiment nul, tu es en dessous de tout !! » Que se passe-t-il quand les parents, de même, mettent de la pression, s’énervent, crient par exemple, lors des devoirs le soir à la maison ? : «  Tu n’apprendras donc jamais rien ! Tu es un bon à rien, tu es un incapable ! Qu’est-ce-que qu’on va faire de toi plus tard ? »
Dans ces situations, les professeurs et les parents altèrent les capacités d’apprentissage, de mémorisation et de réflexion de l’enfant, à l’inverse du but recherché.
En 2012, une étude réalisée par Joan Luby, professeur de psychiatrie à l’université de Saint-Louis, montre que lorsque la mère soutient, encourage son enfant quand il est petit, son hippocampe augmente de volume.
Cette étude concerne 92 enfants et révèle  le lien entre une attitude soutenante dans la petite enfance et l’augmentation du volume de l’hippocampe entre 7 et 13 ans.
Dès que le stress est là, les circuits qui nous permettent de penser, d’apprendre, de réfléchir, de mémoriser sont perturbés voire inhibés. Plus le stress est intense, plus nous sommes dépossédés de nos facultés intellectuelles et penser clairement n’est plus possible.
C’est un cercle vicieux : quand l’enfant a peur, il apprend mal, a de mauvaises notes, est en situation d’échec. Il se sent alors nul, humilié et ne veut plus aller en classe. Les méthodes d’enseignement  bannissant totalement la peur et le stress sont beaucoup plus agréables et satisfaisantes pour le professeur mais en plus permettent aux élèves, aux  étudiants de mieux apprendre, de mieux mémoriser et d’être plus créatifs.
Le petit de l’homme a  besoin d’être entouré d’adultes empathiques qui montrent le chemin, l’élèvent dans une  ambiance chaleureuse, aimante, faite de respect et lui donnent confiance en lui-même et dans la vie.
Si dès la petite enfance, l’enfant ne rencontre sur sa route que dureté, rigidité, non respect, le développement de son cerveau  peut être  altéré, entrainant des effets  négatifs  sur ses capacités cognitives et  affectives, sur son humeur avec des manifestations anxieuses, dépressives, agressives entravant sa vie personnelle et relationnelle. La dureté physique ou psychologique durant l’enfance freine le bon développement des enfants, a des répercussions sur sa vie d’adulte en terme de santé physique et psychologique et peut laisser une empreinte sur la génération suivante.
C’est un coût très important pour la personne elle-même car elle souffre et ne s’épanouit pas  mais c’est un coût également pour toute la société qui prend en charge ses difficultés physiques et psychologiques parfois très importantes, ses difficultés d’apprentissage  et ses troubles du comportement qui peuvent conduire à des conduites d’agression, de délinquance.
Etre chaleureux avec l’enfant, lui donner confiance, l’encourager, le soutenir, avoir du respect et de la considération pour  lui n’est pas une utopie mais est au contraire tout à fait réalisable si la motivation est là.
Dr Catherine Gueguen
En savoir plus sur le dernier livre de Catherine Gueguen « Pour une enfance heureuse – Repenser l’éducation à la lumière des dernières découvertes sur le cerveau » : http://www.laffont.fr/site/pour_une_enfance_heureuse_&100&9782221140925.html

Rencontre – débat avec Antonella Verdiani ce samedi 8 février à 15h à Rambouillet


Désordre global : initiatives locales 
à Rambouillet et dans sa région

Penser globalement, agir localement telle est la philosophie de la Fabric des Colibris et de nombreuses associations locales qui, dans une exposition, proposent de découvrir les actions mises en œuvre à Rambouillet et dans sa région pour répondre à une échelle locale au désordre global de notre planète.
Après une brève présentation des causes, il sera proposé de découvrir comment les jardins partagés et familiaux, les transports doux, les AMAP, les échanges de services et de savoirs…peuvent en partie répondre à ces défis.
D’autres événements vont accompagner l’exposition dans Rambouillet et sa région : projections-débats, table ronde, spectacle de contes, théâtre, café citoyen, Slam, rencontre débat avec des auteurs de livres…
Programme du Samedi 8 février 2014 :

« Ces écoles qui rendent nos enfants heureux », 

rencontre – débat (gratuit) avec l’auteur Antonella Verdiani, 

à 15h à la librairie Labyrinthes, 

passage Chasles – 2 à 6 rue Chasles, 78120 Rambouillet 


STAGE DU 15 et 16 FEVRIER

Stage « Eduquer à la joie » : 

qui suis-je lorsque j’éduque, j’enseigne, je transmets?

Dans ce stage nous
allons interroger la question de la transmission du savoir être et du savoir,
en relation à la joie, notre trésor intérieur, notre essence.
Il s’agit pour nous
de :
–      
savoir  être
–      
savoir être ensemble
–      
savoir connaître
–      
savoir faire
en relation à ce
qui existe de plus précieux en nous, la joie de vivre.

Nos références sont
les quatre piliers de l’éducation du Rapport à l’Unesco de la Commission
internationale sur l’éducation pour le XXIe siècle, L’éducation, un trésor est caché dedans ( http://www.tact.fse.ulaval.ca/fr/html/delors_f.pdf ) :
1.    
apprendre à être
2.    
apprendre à être ensemble
3.    
apprendre à connaître
4.    
apprendre à faire
Le lien entre
« apprendre » et « savoir » est résolu dans la définition
très large que nous avons choisi du terme « apprendre », que nous
qualifions comme « un processus d’éducation et de connaissance tout au
long de la vie »
(learning). De
plus, en français, le verbe « apprendre » a le double sens de
acquérir ou de faire acquérir une connaissance (j’apprends en tant qu’élève,
mais j’apprends (un cours) à un élève). La question se pose donc de savoir qui
apprend dans la transmission (j’apprends en apprenant, je sais que je ne
sais pas, ce qui rappelle la figure de Jacotot, le maître ignorant).
Pour tenter de
répondre à ces interrogations et à d’autres qui concernent essentiellement la
posture de l’éducateur, il est question pour nous, avant toute autre démarche
éducative, de commencer par le pilier « apprendre à être », ce qui fondera
le parcours proposé et nous mettra en contact avec la partie plus lumineuse de
nous-mêmes, la joie.
Journée
1.
1.     Apprendre à être
–      
Présentation du déroulé détaillée
–      
Rappel des concepts et du travail
développé pendant le module de base :
o  
la joie, le bien-être dans l’éducation
o  
l’éducation intégrale
o  
les 4R, reconnaître, résonner,
révéler, réveiller, etc.).
–      
Autres notions : engagement, autorité,
discipline, effort, fragilité, bienveillance, humanité,…
–      
Apprendre à être : qui suis-je
lorsque j’enseigne ? d’où je pars ? quelles sont mes
motivations ? prendre conscience, passer de agent à acteur, à auteur de
sa propre vie… de son métier d’enseignant  
–      
Exercices : travail sur la
posture/ l’éducateur que je suis/mes projections
2.     Apprendre à être ensemble
–      
La culture de la paix  et l’éducation à la paix (notion,
références et cadre national et international)
–      
Pédagogies favorisant le vivre ensemble
et la coopération (exemples)
–      
Méthodes et outils pédagogiques
existants 
–      
Exercices coopératifs et jeux de rôle
Journée
2.
3.     Apprendre à (se) connaître
–      
Méthodes et méthodologie (approche
transdisciplinaire, systémique, intégrale, mind mapping, etc.)
–      
Exercices autour d’une méthode
–      
Un exemple de nouvelle
méthode : la pédagogie fractale, une vision holographique
–      
Exercice : de l’intime à
l’amplification (clown)/ faire parler un objet (il raconte son histoire)
–      
Les intelligences multiples (Gardner)
et l’école
–      
Exercice et mises en scène
4.     Apprendre à faire
–      
Faire ou savoir-faire ? les
savoir-faire immatériels et matériels (la reconnaissance du patrimoine
immatériel au même titre que le matériel) et la question des compétences, la
qualification (la spécialisation croissante face à la nécessité d’une approche
globale)
–      
« Faire » n’est pas
dévalorisant : alterner théorie et pratique (pédagogies coopératives)
–      
Stimuler la créativité
–      
Exercices 
–      
Conclusion du stage




Le stage sera animé par 

Antonella Verdiani, docteur en sciences de l’éducation, formatrice, conférencière 

Antonella Verdiani 
Ces écoles qui rendent nos enfants heureux
Actes Sud 2012
Page Facebook : 
Ces écoles qui rendent nos enfants heureux

Printemps de l’éducation : 
www.printemps-education.org 

et Evelyne Girard, clown, art-thérapeute, formatrice en expression vocale. 

Où, quand, combien?

A Paris (14ème)   

Les 15 et 16 février 2014  (9h30 – 17h30)

Prix : 180€
(nous consulter si difficultés de paiement)


Inscriptions et renseignements : girard.evelyne@wanadoo.fr