Dì, quando si è morti, è per tutta la vita?

Una nuova formazione in Italia…

Morire è una malattia? dove andiamo quando moriamo? Avrete sicuramente sentito i vostri figli o alunni, i bambini (anche piccoli) a scuola o in famiglia, porsi e porvi queste domande alle quali non si tratta di dare risposte preconfezionate. Come fare allora a farle emergere liberamente? A parlarne dando spazio ed accoglienza alle emozioni che susciteranno in loro e anche in noi?

Obiettivi formativi

  • Favorire l’emergenza delle domande poste dai bambini sulla morte e sul lutto, saperne e poterne parlarne
  • Imparare ad accogliere le emozioni legate alla morte
  • Fornire conoscenze teoriche sull’evoluzione delle rappresentazioni della morte secondo i periodi dell’infanzia/ giovinezza

Contenuti

  • L’evoluzione della rappresentazione della morte nei bambini secondo i periodi di età. Il bambino di fronte alla morte: il pensiero magico; la paura della morte (che ci rimanda alla nostra stessa morte); l’emergere della consapevolezza di sé.
  • L’espressione di emozioni e sentimenti legati alla morte attraverso l’arte (laboratori di espressione artistica, narrazione, danze, canzoni, disegno)
  • I cicli della vita e della natura: i diversi lutti (animali, fratello o sorella, nonni, ecc.); la vita di un albero o di un fiore (connessione alla natura)
  • Saper accogliere domande e silenzi sulla morte; saper parlare della morte con parole semplici (imparare ad accompagnare un gruppo di parola)

Mezzi pedagogici : Contributi teorici. Laboratori artistici e connessione con la natura. Cerchio di parola e scambi tra i partecipanti.

Destinatari : la formazione è aperta a tutti, soprattutto a coloro che sono in contatto con i bambini (o con la parte di bambino/a in sé 🙂 )

Durata:  sono possibili diverse formule che vanno da 1 giorno di sensibilizzazione a 4 giorni in co-animazione (contattatemi in risposta a questo articolo).

TESTIMONIANZA (dopo stage)

Abbiamo* appena tenuto un seminario intitolato con questa bella questione esistenziale, presa dalla domanda di un bambino vero: “Dì, quando si è morti, è per tutta la vita? « .

Abbiamo trascorso tre giorni intensi con delle educatrici (la maggior parte donne, come molto spesso accade) e un (singolo) educatore della prima infanzia (ci congratuliamo per il suo coraggio!), degli splendidi giovani a contatto quotidiano con bambini in età da pochi mesi a 5 anni. Si tratta quindi di un periodo prescolare durante il quale si pensa, spesso a torto, che la questione della morte non faccia parte della vita dei più piccoli.

Vogliamo  porre l’attenzione su alcuni punti riguardanti l’approccio adottato dalla formazione che ha alternato apporti teorici e con quelli pratici (giochi di ruolo, movimenti, danza, arte, ecc.). Come formatrici, avevamo fatto la scommessa che questo corso potesse trasformarsi in un momento di evoluzione personale per tutti i partecipanti, noi comprese.  Possiamo dire oggi di non esserci troppo sbagliate, pur tenendo conto delle evidenti difficoltà di alcune persone a farsi coinvolgere “anima e corpo” in ciò che abbiamo proposto.

Primo: la morte ci parla di noi

Per prima cosa,  abbiamo notato quanto il parlare della morte in generale, e in particolare con i bambini, ci riporti al nostro rapporto con la morte, la nostra stessa morte e quella delle persone che amiamo. Attraverso un viaggio di esplorazione anche dei luoghi comuni su questo argomento, abbiamo compreso quanto sia fondamentale e persino necessario affrontare ciò che regolarmente intralcia i nostri impulsi vitali, la nostra capacità di costruire legami sani e pacifici con il nostro mondo… E dare un nome a ciò che, nella scala delle emozioni e delle cause di blocchi e conflitti, è in cima alla lista: la paura di morire.

Ma attenzione! Non abbiamo mai avuto la pretesa, né l’avremo, sul fatto che un corso di tre giorni possa risolvere tutti i problemi generati da questa paura profonda e comune a tutti. Crediamo invece che questi momenti di interrogazione ci invitino a scoprire le nostre zone d’ombra (da esplorare in luoghi terapeutici appropriati).

Secondo: si tratta di parlare di morte « con i » – e non « ai »- bambini

Questo implica che noi adulti (genitori, nonni, insegnanti, educatori in senso lato), dobbiamo adottare una postura di accompagnamento. Non si tratta quindi di dire loro cosa sia o non sia la morte, ma di invitarli a esprimersi su questo tema. E qui saremo sorpresi, perché spesso i bambini già « sanno » molto più di quanto immaginiamo sulla questione. Anche perché, a seconda della loro età, certi bambini hanno sviluppato una riflessione esistenziale (che si esprime spesso nei “laboratori di filosofia” con i più grandi) estremamente saggia e matura.

Inoltre, come formatori, per rispondere ai dubbi di alcuni partecipanti (per esempio: dobbiamo parlare loro di morte anche « fuori contesto scuola »?), crediamo che non sia necessario aspettare che la morte si presenti nella vita di un bambino con la partenza di una persona cara, anche a scuola. Riteniamo invece che la questione della morte debba essere inserita nella storia delle natura umana, animale e vegetale, ad esempio introducendola nei corsi di scienze naturali, di biologia, di chimica ecc., per i ragazzi più grandi. Così come sono da favorire, in ambito prescolare e scolastico, tutte le attività artistiche (disegno, canto, filastrocche,  compreso il movimento e la danza libera), affinché i bambini possano esprimersi in modo più libero in alternativa o in complemento alla verbalizzazione.

Se accade che un genitore o un amico del bambino muoiano, noi educatori dobbiamo essere disposti ad accettare la situazione con un atteggiamento più sereno possibile, accogliendo anche le nostre stesse emozioni (sapendo che l’educazione emozionale dovrebbe essere inserita dalla scuola materna in poi).

Su questo tema, ci ha rafforzato la testimonianza di una eccellente professionista, Josée Masson in diretta dal Québec, che in seno all’associazione « Deuil-Jeunesse » (https://deuil-jeunesse.com) si occupa di dare sostegno ai giovani che hanno subito una perdita. Siamo stati tutti commossi dalle parole piene di umanità di Josée:… demistificare per andare sempre più verso la fiducia e l’amore; non giudicare, ma imparare ad accogliere come educatori perché non esiste il lutto “giusto”, ma solo quello che viviamo.

Terzo: la morte fa parte della vita

Può sembrare banale, ma il fatto di presentare la morte come la fine di qualsiasi processo è fonte di grande angoscia anche tra i più piccoli. Ancora una volta, non si tratta di condurre i bambini a sposare le nostre proprie convinzioni, come l’esistenza di un aldilà per i credenti, ma di collocare la morte nel processo della vita. Ad esempio, se nella presentazione del ciclo umano spiegato ai bambini mettiamo la nascita come prima tappa e la morte come ultima, il risultato sarà una visione della Vita molto più globale e armoniosa, accessibile anche ai più piccoli.

E se, all’interno di questo stesso processo spiegato ai bambini, collochiamo anche la possibilità dell’imprevisto e dell’imprevedibilità dell’esistenza, potremmo educarli ad accogliere più facilmente eventi tragici, come la morte prematura di un amico o di un parente.

Quarto: l’arte è una porta tra il visibile e l’invisibile

Crediamo anche, avendolo sperimentato e condiviso in questi giorni, che l’approccio artistico o poetico possa essere un accesso per avvicinarsi alla nostra “finitudine”. In effetti la pratica dell’arte (danza, musica, pittura, ecc.) ci interroga sulla nozione di tempo: temporalità contro atemporalità. Lo spazio-tempo suggerito da un’opera d’arte, dalla sua contemplazione o dalla sua pratica, ci permette di toccare i due mondi del visibile e dell’invisibile, con tutti i nostri sensi risvegliati.

Da questa piena presenza, aperta al mondo sensibile, può scaturire una migliore consapevolezza di sé, ad ogni momento. Il ché può rivelarsi molto utile il giorno della nostra partenza dall’altra parte… Ballare, cantare, suonare, vivere con creatività in piena comunione col momento presente.

Per concludere…

In una società sempre più aperta al transumanesimo e alle sue nefaste conseguenze, crediamo che l’educazione alla morte diventi un’emergenza e una necessità per i giovani. Sappiamo, come abbiamo visto in questi tre giorni, che introdurre la morte come un soggetto “normale”, demistificarla e riuscire ad affrontarla senza appesantirla con le nostre proiezioni, non è facile.

Ma questi momenti hanno rafforzato la nostra convinzione che l’unico modo per accedere a un rapporto sano con la morte è ritornare all’atteggiamento che i bambini hanno spontaneamente verso di lei : senza paura, e anche con gioia, dovremo dimenticare tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere sul suo conto, immaginare di non sapere più nulla (soprattutto ciò che ci è stato inculcato da generazioni), pronti a lasciarci sorprendere dalla nostra capacità di meravigliarci.

Antonella Verdiani

 * in co-animazione con Anne Caloustian, artista, musicista, poetessa, clown ed insegnante.

2 réponses sur “Dì, quando si è morti, è per tutta la vita?”

  1. Un’iniziativa necessaria.
    Perchè si cominci a contemplare l’orizzonte della vita come un limite naturale. E come un compimento.
    Credo che i bambini siano più pronti di noi adulti ad accogliere la morte. Ma c’è bisogno di parlarne CON loro.
    Grazie di aver rotto il silenzio.
    Rosa Carotti

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