Dì, quando si è morti, è per tutta la vita?

Una nuova formazione in Italia…

Morire è una malattia? dove andiamo quando moriamo? Avrete sicuramente sentito i vostri figli o alunni, i bambini (anche piccoli) a scuola o in famiglia, porsi e porvi queste domande alle quali non si tratta di dare risposte preconfezionate. Come fare allora a farle emergere liberamente? A parlarne dando spazio ed accoglienza alle emozioni che susciteranno in loro e anche in noi?

Obiettivi formativi

  • Favorire l’emergenza delle domande poste dai bambini sulla morte e sul lutto, saperne e poterne parlarne
  • Imparare ad accogliere le emozioni legate alla morte
  • Fornire conoscenze teoriche sull’evoluzione delle rappresentazioni della morte secondo i periodi dell’infanzia/ giovinezza

Contenuti

  • L’evoluzione della rappresentazione della morte nei bambini secondo i periodi di età. Il bambino di fronte alla morte: il pensiero magico; la paura della morte (che ci rimanda alla nostra stessa morte); l’emergere della consapevolezza di sé.
  • L’espressione di emozioni e sentimenti legati alla morte attraverso l’arte (laboratori di espressione artistica, narrazione, danze, canzoni, disegno)
  • I cicli della vita e della natura: i diversi lutti (animali, fratello o sorella, nonni, ecc.); la vita di un albero o di un fiore (connessione alla natura)
  • Saper accogliere domande e silenzi sulla morte; saper parlare della morte con parole semplici (imparare ad accompagnare un gruppo di parola)

Mezzi pedagogici : Contributi teorici. Laboratori artistici e connessione con la natura. Cerchio di parola e scambi tra i partecipanti.

Destinatari : la formazione è aperta a tutti, soprattutto a coloro che sono in contatto con i bambini (o con la parte di bambino/a in sé 🙂 )

Durata:  sono possibili diverse formule che vanno da 1 giorno di sensibilizzazione a 4 giorni in co-animazione (contattatemi in risposta a questo articolo).

TESTIMONIANZA (dopo stage)

Abbiamo* appena tenuto un seminario intitolato con questa bella questione esistenziale, presa dalla domanda di un bambino vero: “Dì, quando si è morti, è per tutta la vita? “.

Abbiamo trascorso tre giorni intensi con delle educatrici (la maggior parte donne, come molto spesso accade) e un (singolo) educatore della prima infanzia (ci congratuliamo per il suo coraggio!), degli splendidi giovani a contatto quotidiano con bambini in età da pochi mesi a 5 anni. Si tratta quindi di un periodo prescolare durante il quale si pensa, spesso a torto, che la questione della morte non faccia parte della vita dei più piccoli.

Vogliamo  porre l’attenzione su alcuni punti riguardanti l’approccio adottato dalla formazione che ha alternato apporti teorici e con quelli pratici (giochi di ruolo, movimenti, danza, arte, ecc.). Come formatrici, avevamo fatto la scommessa che questo corso potesse trasformarsi in un momento di evoluzione personale per tutti i partecipanti, noi comprese.  Possiamo dire oggi di non esserci troppo sbagliate, pur tenendo conto delle evidenti difficoltà di alcune persone a farsi coinvolgere “anima e corpo” in ciò che abbiamo proposto.

Primo: la morte ci parla di noi

Per prima cosa,  abbiamo notato quanto il parlare della morte in generale, e in particolare con i bambini, ci riporti al nostro rapporto con la morte, la nostra stessa morte e quella delle persone che amiamo. Attraverso un viaggio di esplorazione anche dei luoghi comuni su questo argomento, abbiamo compreso quanto sia fondamentale e persino necessario affrontare ciò che regolarmente intralcia i nostri impulsi vitali, la nostra capacità di costruire legami sani e pacifici con il nostro mondo… E dare un nome a ciò che, nella scala delle emozioni e delle cause di blocchi e conflitti, è in cima alla lista: la paura di morire.

Ma attenzione! Non abbiamo mai avuto la pretesa, né l’avremo, sul fatto che un corso di tre giorni possa risolvere tutti i problemi generati da questa paura profonda e comune a tutti. Crediamo invece che questi momenti di interrogazione ci invitino a scoprire le nostre zone d’ombra (da esplorare in luoghi terapeutici appropriati).

Secondo: si tratta di parlare di morte “con i” – e non “ai”- bambini

Questo implica che noi adulti (genitori, nonni, insegnanti, educatori in senso lato), dobbiamo adottare una postura di accompagnamento. Non si tratta quindi di dire loro cosa sia o non sia la morte, ma di invitarli a esprimersi su questo tema. E qui saremo sorpresi, perché spesso i bambini già “sanno” molto più di quanto immaginiamo sulla questione. Anche perché, a seconda della loro età, certi bambini hanno sviluppato una riflessione esistenziale (che si esprime spesso nei “laboratori di filosofia” con i più grandi) estremamente saggia e matura.

Inoltre, come formatori, per rispondere ai dubbi di alcuni partecipanti (per esempio: dobbiamo parlare loro di morte anche “fuori contesto scuola”?), crediamo che non sia necessario aspettare che la morte si presenti nella vita di un bambino con la partenza di una persona cara, anche a scuola. Riteniamo invece che la questione della morte debba essere inserita nella storia delle natura umana, animale e vegetale, ad esempio introducendola nei corsi di scienze naturali, di biologia, di chimica ecc., per i ragazzi più grandi. Così come sono da favorire, in ambito prescolare e scolastico, tutte le attività artistiche (disegno, canto, filastrocche,  compreso il movimento e la danza libera), affinché i bambini possano esprimersi in modo più libero in alternativa o in complemento alla verbalizzazione.

Se accade che un genitore o un amico del bambino muoiano, noi educatori dobbiamo essere disposti ad accettare la situazione con un atteggiamento più sereno possibile, accogliendo anche le nostre stesse emozioni (sapendo che l’educazione emozionale dovrebbe essere inserita dalla scuola materna in poi).

Su questo tema, ci ha rafforzato la testimonianza di una eccellente professionista, Josée Masson in diretta dal Québec, che in seno all’associazione “Deuil-Jeunesse” (https://deuil-jeunesse.com) si occupa di dare sostegno ai giovani che hanno subito una perdita. Siamo stati tutti commossi dalle parole piene di umanità di Josée:… demistificare per andare sempre più verso la fiducia e l’amore; non giudicare, ma imparare ad accogliere come educatori perché non esiste il lutto “giusto”, ma solo quello che viviamo.

Terzo: la morte fa parte della vita

Può sembrare banale, ma il fatto di presentare la morte come la fine di qualsiasi processo è fonte di grande angoscia anche tra i più piccoli. Ancora una volta, non si tratta di condurre i bambini a sposare le nostre proprie convinzioni, come l’esistenza di un aldilà per i credenti, ma di collocare la morte nel processo della vita. Ad esempio, se nella presentazione del ciclo umano spiegato ai bambini mettiamo la nascita come prima tappa e la morte come ultima, il risultato sarà una visione della Vita molto più globale e armoniosa, accessibile anche ai più piccoli.

E se, all’interno di questo stesso processo spiegato ai bambini, collochiamo anche la possibilità dell’imprevisto e dell’imprevedibilità dell’esistenza, potremmo educarli ad accogliere più facilmente eventi tragici, come la morte prematura di un amico o di un parente.

Quarto: l’arte è una porta tra il visibile e l’invisibile

Crediamo anche, avendolo sperimentato e condiviso in questi giorni, che l’approccio artistico o poetico possa essere un accesso per avvicinarsi alla nostra “finitudine”. In effetti la pratica dell’arte (danza, musica, pittura, ecc.) ci interroga sulla nozione di tempo: temporalità contro atemporalità. Lo spazio-tempo suggerito da un’opera d’arte, dalla sua contemplazione o dalla sua pratica, ci permette di toccare i due mondi del visibile e dell’invisibile, con tutti i nostri sensi risvegliati.

Da questa piena presenza, aperta al mondo sensibile, può scaturire una migliore consapevolezza di sé, ad ogni momento. Il ché può rivelarsi molto utile il giorno della nostra partenza dall’altra parte… Ballare, cantare, suonare, vivere con creatività in piena comunione col momento presente.

Per concludere…

In una società sempre più aperta al transumanesimo e alle sue nefaste conseguenze, crediamo che l’educazione alla morte diventi un’emergenza e una necessità per i giovani. Sappiamo, come abbiamo visto in questi tre giorni, che introdurre la morte come un soggetto “normale”, demistificarla e riuscire ad affrontarla senza appesantirla con le nostre proiezioni, non è facile.

Ma questi momenti hanno rafforzato la nostra convinzione che l’unico modo per accedere a un rapporto sano con la morte è ritornare all’atteggiamento che i bambini hanno spontaneamente verso di lei : senza paura, e anche con gioia, dovremo dimenticare tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere sul suo conto, immaginare di non sapere più nulla (soprattutto ciò che ci è stato inculcato da generazioni), pronti a lasciarci sorprendere dalla nostra capacità di meravigliarci.

Antonella Verdiani

 * in co-animazione con Anne Caloustian, artista, musicista, poetessa, clown ed insegnante.

Sistemi di credenze e narrativa in tempo di crisi : un dialogo impossible?

Ivan Maltcheff , 12 agosto 2021

Articolo tradotto con l’autorizzazione dell’autore

Autore del libro “Les nouveaux collectifs citoyens » (I nuovi collettivi cittadini), Ed. Yves Michel, Ivan Maltcheff è impegnato da 30 anni in diversi ruoli – DRH, consigliere, coach – nel mondo degli affari e sulle dinamiche di gruppo, per coloro che vogliono costruire un progetto e mobilitare le proprie energie. È intervenuto in varie piattaforme o associazioni di cittadini (in Francia): Dialogues en Humanité, Collectif pour une transition citoyenne, Printemps de l’éducation, Colibris, Osons les jours heureux, Coop-Cité, Forum 104… Nel 2020, insieme con Laurence Baranski, ha creato il programma “Réussir le passage” (Riuscire il passaggio) per sostenere gli attori della società in via di trasformazione.

La gestione della crisi sanitaria a livello mondiale mette in evidenza, accentuandole, delle letture diverse del momento che la nostra civilizzazione sta attraversando, che possiamo qualificare di passaggio, qualunque sia il seguito della storia.

Nel testo che segue, presenterò quattro letture della situazione attuale. Ciascuna rappresenta un sistema di credenze, ovvero una versione della storia che dà un significato e una prospettiva diversa a ciò che sta accadendo. Di fatto, le persone che aderiscono ad ognuna di queste letture, si reputano spesso depositarie della verità, e agiscono nella speranza di dominare.

Qualunque sia l’esito di questa crisi, ritengo che sarà necessario ricostruire sulle rovine dell’immaturità collettiva in cui ci troviamo attualmente. In ogni caso, dovremo reimparare a creare una società “insieme”, una nuova società che non sia costruita sulla divisione e sull’umiliazione dei “vinti” (che è invece ciò verso cui andiamo se non prestiamo attenzione). Per queste ragioni, la nostra democrazia e i nostri modi di costruire i meccanismi di consenso e dissenso, devono cambiare radicalmente.

Il che rappresenterebbe una porta aperta per far evolvere in maniera pacifica le nostre società.

  1. Le quattro letture

La prima storia, che riassumo a grandi linee, assomiglia più o meno alla seguente :

Un virus sconosciuto colpisce duramente l’umanità. Bisogna garantire il più rapidamente possibile una risposta adeguata che permetta di salvare vite umane e assicurare un ritorno alla normalità. La scienza, di cui possiamo fidarci, ci offre soluzioni rapide attraverso la vaccinazione che deve essere messa in atto senza indugio. L’essere in grado, in un tempo così rapido, di offrire soluzioni mediche a una crisi sanitaria di questa portata, rappresenta un immenso progresso. Le autorità fanno quello che possono per affrontare questa difficile situazione e nessun paese ha una soluzione miracolosa. Dobbiamo mobilitarci con urgenza, tutti insieme, per debellare il virus, prevenire la congestione negli ospedali, avendo fiducia nelle autorità per gestire la crisi. Coloro che non lo fanno, mancano di senso civico e mettono in pericolo la vita degli altri. Le attuali misure del governo sono eque e proporzionate alla gravità della crisi. Non rappresentano un pericolo per la democrazia, né (sono le basi di) una società di sorveglianza, perché sono temporanee. Se alcune di loro dovessero rimanere in vigore per proteggerci, non sarebbe un problema, a condizione che siano inserite in un quadro giuridico adeguato. Se c’è una frattura nella società, è proprio a causa di chi rifiuta le giuste misure del pass sanitario.

Questa è la lettura di chi non ha nessuna obiezione contro il pass sanitario ed è favorevole al vaccino obbligatorio.

Riunisce, a mio avviso, una minoranza di ferventi sostenitori e probabilmente una larga maggioranza di persone che adottano questa storia “per default” più che per convinzione, sperando di poter tornare alla normalità il più presto possibile.

Quali sono le principali architetture invisibili che la sostengono?

  • Fiducia globale nel sistema attuale (scienza, autorità, democrazia)
  • Necessità di protezione e sicurezza in un contesto ansiogeno con molteplici incertezze
  • Speranza che dopo la crisi torneremo abbastanza rapidamente, più o meno al mondo di prima
  • Paura della pandemia e del virus
  • Paura della messa in discussione e del collasso del sistema, che potrebbe portare al caos
  • Paura di letture alternative, che potrebbero minare la democrazia e preparare le basi all’estremismo (complottismo, estrema destra, gruppuscoli faziosi…)

Questa prima lettura produce una duplice situazione: da una parte i bravi cittadini, dall’altra i cattivi. Si potrebbe definire una narrativa conservatrice, in quanto non rimette in discussione e mantiene le referenze del sistema in atto.

La seconda lettura, riassunta brevemente qui di seguito, è sostanzialmente una variante critica della prima:

Un virus sconosciuto colpisce duramente l’umanità. Dobbiamo interrogarci sulle cause profonde di questa pandemia e in particolare sulla drammatica destabilizzazione ecologica dei sistemi viventi, che favorisce la comparsa di squilibri di ogni genere.

Dobbiamo garantire una risposta adeguata che salvi vite umane. La scienza, di cui possiamo fidarci, ci offre soluzioni alternative che devono essere seriamente esplorate. La vaccinazione, non ancora stabilizzata e con Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) condizionale, è solo una di queste alternative tra le tante possibili risposte mediche.

Le relazioni poco chiare, i conflitti di interesse con i laboratori farmaceutici, il contenuto dei contratti, in particolare sugli aspetti finanziari e sulle responsabilità, devono essere resi pubblici. I vaccini e il sistema sanitario dovrebbero essere considerati come beni pubblici e offerti gratuitamente o quasi, a tutti. La situazione critica dell’ospedale pubblico e dei reparti di pronto soccorso è più il riflesso di un’ostinata politica di riduzione della spesa pubblica che il fatto della crisi.

Le autorità stanno gestendo questa situazione in modo confuso, inappropriato e pericoloso per le libertà pubbliche. Esse dividono il paese istituendo una vaccinazione obbligatoria mascherata e una segregazione di fatto tra i cittadini. Esse creano una pericolosa deriva verso una società di controllo e tracciabilità.

Questa storia è quella di chi è contrario al pass sanitario e favorevole alla vaccinazione, ma con libertà di scelta.

A mio avviso riunisce persone già critiche su molti temi (ecologia, economia, libertà pubbliche, ecc.) e favorevoli a un’alternativa politica piuttosto progressista.

Quali sono le principali architetture invisibili che lo sostengono?

  • Una fiducia critica nel sistema attuale con proposte di cambiamento (economia, ecologia, democrazia, scienza)
  • Un bisogno di protezione e sicurezza da bilanciare con quello di libertà
  • La speranza che dopo la crisi saremo in grado di cambiare le attuali scelte politiche
  • La paura della pandemia e del virus
  • La paura della dominazione dei sistemi finanziari e oligarchici
  • La paura di narrazioni alternative che potrebbero minare la democrazia e preparare le basi all’estremismo (complottismo, estrema destra, gruppuscoli faziosi…)

Questa narrativa sposta la dualità su un altro livello: da una parte c’è il popolo e dall’altra coloro che sfruttano la propria posizione di dominazione o d’influenza per orientare la democrazia a proprio vantaggio. Si potrebbe considerare questa una variante della lettura della lotta di classe o degli interessi in conflitto.

La terza narrativa inserisce un cambio di paradigma nella griglia di lettura.

I punti chiave di questa lettura, che contiene diverse varianti, traggono origine dal sentimento di strumentalizzazione della crisi da parte dei governi che manipolano, usano e abusano della paura e della disinformazione, e rifiutano di rispondere a un certo numero di domande cruciali, prime tra cui :

  • L’origine del virus: questa lettura sottolinea la manifesta mancanza di volontà delle autorità di portare a termine le ricerche in proposito. L’ipotesi presa molto sul serio è quella di un virus sfuggito, o per alcuni, creato artificialmente in laboratorio.
  • La realtà della pandemia: i dati dei decessi per Covid, una volta combinati con quelli sulla crescita e l’invecchiamento naturali della popolazione, non mostrano alcun reale eccesso di mortalità. Nel peggiore dei casi, mostrano una mortalità più elevata con varie comorbidità per le popolazioni più anziane. I dati annunciati riflettono quindi un pregiudizio cognitivo che mira a dare importanza a determinati indicatori e ipotesi, al di fuori di ogni contesto reale.
  • La gestione medica della pandemia: l’incomprensibile e ingiustificata esclusione dei vari trattamenti medicinali validati fuori dalla Francia (Ivermectina, Idrossiclorochina, ecc.) mostra una volontà determinata per il vaccino a tutti i costi.
  • La vaccinazione Covid 19: inefficace (più si va avanti, più si conferma), pericolosa, non omologata, che presenta effetti collaterali mai visti nella storia recente e che trasforma gli uomini in cavie, con iniezioni regolari che rischiano di ripetersi nel tempo, tenuto conto delle varianti favorite dalla vaccinazione di massa.
  • Il contenuto dei vaccini: sconosciuto, con forti sospetti sulla terapia genica, che non offre alcuna garanzia scientificamente provata, e con la presenza di sostanze sospette, come ad esempio l’ossido di grafene che potrebbe attivarsi grazie a campi elettromagnetici di tipo 5G.
  • La gestione politica della pandemia instaura un regime autoritario, privando le libertà pubbliche e prepara il terreno per un progetto transumanista più globale con l’obiettivo di un ampio controllo delle popolazioni.

Questa storia, secondo me, riunisce chi è contro il pass sanitario, per la libertà di scelta del vaccino, ma anche chi è contro la vaccinazione in generale. Riunisce anche vari oppositori del sistema, cittadini o politici.

…e le principali architetture invisibili che lo sostengono?

  • Forte sfiducia nel sistema attuale con la sensazione che ci sia un desiderio orchestrato di prendere il controllo delle popolazioni, da parte di un’oligarchia finanziaria e industriale
  • Diffidenza verso una scienza unilaterale che funziona come una teologia, senza dibattito e con molteplici conflitti di interesse
  • Bisogno di libertà
  • La speranza che dopo la crisi potremo cambiare radicalmente di sistema politico basandoci su di una maggiore sovranità dei popoli
  • La paura del dominio dei sistemi finanziari e oligarchici
  • La paura del progetto transumanista mondiale.

Anche questa terza storia presenta un approccio duale, ma di natura diversa: da una parte c’è il male, con chi vuole la nostra rovina e ci controlla, dall’altra c’è il bene che si oppone al male.

Lasciamo qui il paradigma materialista delle due narrazioni precedenti, quella dei conservatori e quella dei progressisti, per una narrazione più apocalittica nel senso stretto del termine.

La quarta lettura è una variante della terza con collegamenti alla seconda. Riprende le domande rimaste senza risposta della storia precedente, ma dà un altro senso alla lotta tra il bene e il male andando oltre sulla questione della potenziale trasformazione delle nostre società dopo questa crisi.

Questa narrativa s’interroga sulle domande che restano senza risposta nella terza storia, senza necessariamente dare credito alle tesi del complotto, senza ritrovarsi né nelle appartenenze politiche di certi sostenitori della terza storia, ma ritenendo che l’assenza di dibattito scientifico, politico e democratico, nonché le derive autoritarie che si stanno verificando, bastano a mettere seriamente in dubbio le reali intenzioni dei nostri governi.

Questa lettura si concentra piuttosto sul momento speciale in cui si trova l’umanità, vettore di grandi possibilità di trasformazione.

Quali sono le principali architetture invisibili che lo sostengono?

  • L’umanità, e in generale tutti gli esseri viventi e l’universo, attraversano un momento di passaggio maggiore, in cammino verso una nuova dimensione che si deve ancora esprimere. Non siamo che alle premesse di un cambio d’epoca. Il virus e la sua comparsa, come le altre grandi sfide per l’umanità, sono uno dei mezzi che la Vita ci offre per (ri)svegliarci collettivamente e individualmente
  • La necessità di riscoprire chi siamo in quanto umanità, di reintegrare le nostre potenzialità e la nostra sovranità esistenziali, in particolare la nostra essenza che esiste su più livelli di coscienza
  • La speranza che questa crisi che ci riguarda tutti senza differenze, sia colta come un’opportunità; che essa ci permetta realmente di stabilire un altro rapporto con la Vita e promuovere la ricostruzione di sistemi sociali basati su una nuova consapevolezza
  • La paura del progetto transumanista, che avrebbe come conseguenza quella di mantenere l’umanità in un cammino che impedisce un’evoluzione della coscienza. Ma con uno sguardo che trasforma questo ostacolo in un’opportunità per gli esseri umani, quella di rivelare un progetto alternativo basato sulla trasformazione della nostra coscienza.

Questo approccio racchiude il precedente approccio duale, ma apre la prospettiva non duale di un’umanità che progredisce dall’ombra alla luce e si fende un nuovo passaggio, come una specie in mutazione.

Questa lettura riunisce persone da tempo impegnate in percorsi di trasformazione, il cui numero cresce di anno in anno, al di fuori di ogni ideologia o dottrina. Esse hanno preso coscienza che l’umanità non sarà in grado di risolvere gli immensi problemi che ci attendono, con lo stesso grado di consapevolezza che li ha creati. Queste persone, pur essendo aperte agli sviluppi tecnologici e scientifici, in particolare quelli degli approcci quantistici e post-materialisti, credono che le trasformazioni debbano basarsi soprattutto su una ridefinizione delle priorità della nostra civilizzazione, come l’essere, l’amore, la bellezza e la cooperazione con tutti i regni della Vita.

Questa narrazione, molto meno compresa delle precedenti e assente dalle altre vecchie categorie, riflette un movimento di fondo relativamente nuovo perché stabilisce una relazione inedita col mondo invisibile, la spiritualità e la scienza.

Queste 4 storie possono essere combinate per ognuno di noi in proporzioni diverse secondo i soggetti. Esse sono anche un riflesso del nostro dialogo interiore. Tutti abbiamo in noi anche una parte di conservatorismo, progressismo, manicheismo e saggezza non duale. Inoltre, molte persone non si ritrovano per il momento in nessuna di queste letture o non si sono ancora formate un’opinione.

  • Evolvere verso una democrazia interiore

Ognuna delle quattro storie propone una prospettiva diversa alla nostra traiettoria collettiva. Per molti aspetti, queste letture possono sembrare inconciliabili, tanto le ipotesi e gli elementi che le fondano, divergono. Tuttavia, se consideriamo queste quattro storie e le loro varianti come i colori della tavolozza delle reazioni umane di fronte a un grande cambiamento, esse ci danno le chiavi per evolvere collettivamente in maniera democratica.

La prima storia è una caricatura del bisogno di “non cambiare”, di stabilità e di paura di fronte all’incertezza e all’ignoto. Stigmatizza il bisogno di autorità, di stabilità e ci rassicura. Essa rappresenta quella parte di noi che ha bisogno di ordine e stabilità.

La seconda, pur rimanendo all’interno del paradigma della prima, porta con sé la possibilità di evoluzione del sistema. Ne costituisce un’evoluzione sistemica poiché prevede la possibilità di affrontare i problemi ampliando la griglia di lettura e gli orientamenti che determinano le politiche. Rappresenta quella parte di noi che vuole credere che altri mondi siano possibili.

La terza storia corrisponde al bisogno di ripristinare la verità e la giustizia in un mondo percepito come in decomposizione, basato su menzogne, ingiustizie e manipolazioni. Insiste anche sulla riconquista del potere di azione da parte di coloro che se ne sentono espropriati, e evidenzia le dimensioni morale, etica e di sovranità.

L’ultimo racconto propone come chiave la dimensione della trasformazione della coscienza. In un certo senso, esso integra le dinamiche precedenti ad un altro livello.

Di fronte a tutti i cambiamenti che l’umanità deve affrontare oggi, noi potremmo seguire un percorso basato sui bisogni principali espressi in ciascuna delle storie:

  • Sostenere il bisogno di stabilità e la paura dell’incertezza
  • Sviluppare analisi critiche della situazione e soluzioni sistemiche ai problemi
  • Reintrodurre la possibilità, per gli attori sociali, di agire sul sistema, di ritrovare dei valori e dare un senso allargato al progetto di trasformazione
  • Rimettere l’essere umano, in tutte le sue dimensioni, al centro delle trasformazioni.

Per il momento, siamo però abbastanza lontani da una visione che integri le quattro storie. Dovremmo prima cercare di capire, sentire e condividere ciò che sta accadendo.

2.1 Ascoltare, sentire, capire, prima di poter dialogare

Chi è sensibile al bene comune oggi deve preoccuparsi, piuttosto che lottare per veder vincere il proprio campo, di far in modo che queste diverse rappresentazioni dialoghino, per evitare la (già annunciata) rottura del tessuto sociale.

Per questo è più che urgente inventare uno spazio che permetta di ascoltare e rispettare le rappresentazioni, i bisogni, le paure e le speranze di ciascuna delle parti, in un approccio non-violento che rifletta ciò che diverse parti pensano, sentono e credono.

Questo primo passo sembra già estremamente difficile in quanto gli spiriti sono già abbondantemente accesi e le parti montate le une contro le altre, e (pare) senza via di ritorno.

Questo è l’esercizio è del dialogo interiore, in cui ognuno ascolta e sente ciò che il punto di vista dell’altro crea in sé. Ascoltando profondamente il punto di vista dell’altro, posso riconoscere ciò che mi irrita e mi dà fastidio: questo mi può portare anche ad iniziare un esame (che si potrà rivelare ricco) dei miei limiti, dei miei bisogni e delle mie zone di fragilità.

Per costruire un dialogo mi sembra utile capire ciò che avviene quando esprimiamo delle opinioni sulla base delle nostre convinzioni. Una convinzione si basa su sistemi di rappresentazione (ciò che è vero, giusto e buono per me e per il mondo) trasmessi dalla società, dalle discendenze familiari, ma anche dall’esperienza personale che si forgia nel tempo. Le radici di ogni nostra credenza si trovano ugualmente nella stessa parte inconscia in cui vivono le paure, i nostri bisogni (di riconoscimento, affetto, protezione, autonomia, ecc.), le nostre emozioni, le nostre speranze o disillusioni, ma anche quelle del retaggio dei nostri antenati o del mondo in cui viviamo.

I nostri sistemi di credenze sono quindi quelle architetture invisibili che guidano le nostre decisioni; sono essenziali per vivere e trovare un equilibrio nel mondo.

Sottolineo qui l’aspetto invisibile o inconscio per indicare che sotto una patina razionale, non siamo sempre molto lucidi, né per noi stessi e ancor meno per gli altri, su ciò che guida le nostre decisioni e le nostre scelte.

Quando entriamo in un vero dialogo, sono quindi questi mondi invisibili e inconsci che entrano in relazione. Dobbiamo sforzarci  il più possibile di fare luce queste zone sconosciute per evitare fraintendimenti, processi d’intenzione e divisioni.

Quanto più il dialogo, la condivisione di rappresentazioni, l’espressione delle paure e delle interpretazioni di ognuno, si realizzano, tanto più i rischi di confrontazioni  diminuiscono, alla ricerca di un nuovo consenso collettivo.

Proprio perché apre degli spazi interiori, questa preparazione al dibattito democratico ci permetterebbe di immaginare un modo tutto nuovo di prendere decisioni insieme e di fare democrazia.

2.2 Rinnovare il nostro modo di costruire il consenso

La capacità di una società di rinnovarsi senza violenza dipende dalla qualità del processo di costruzione del consenso tra i membri della società.

La constatazione ampiamente condivisa dell’esistenza di élites disconnesse dalla realtà e dell’impossibilità di apportare qualsiasi cambiamento alla folle corsa alla rovina del pianeta, testimoniano il fatto che attualmente la fabbrica del consenso è stata sostituita dalla fabbrica della propaganda.

Le scadenze elettorali, strumentalizzate nel breve termine, come pure le soluzioni già predisposte in anticipo, non consentono alla società civile di entrare in questo tipo di dialogo. I partiti politici e una buona parte dei corpi intermedi (sindacati ed associazioni), non hanno più la capacità di organizzarla.

Come riuscire, a breve, a far dialogare insieme le diverse letture della crisi sanitaria per costruire un nuovo consenso?

Dopo aver ascoltato, sentito e compreso le vicende reciproche, credo che sarà necessario scegliere ed esaminare i punti più controversi per far avanzare le rappresentazioni di ciascuna delle parti.

Dall’inizio di questa crisi, c’è stato un ostinato rifiuto di esplorare democraticamente i diversi punti di vista sulle ipotesi scientifiche che hanno sostenuto le decisioni politiche. Dall’inizio di questa crisi assistiamo cioè ad un rifiuto perentorio di ogni punto di vista che contraddica il resoconto ufficiale.

Dovremo necessariamente tornare su questi dibattiti che non hanno mai avuto luogo. Dovremo anche capire i meccanismi che hanno fatto sì che questi dibattiti non abbiano avuto luogo. Tutto ciò potrebbe essere attuato attraverso comitati cittadini indipendenti, come la Convenzione dei cittadini per il clima (in Francia), integrando però le dimensioni dei sistemi di credenze, delle emozioni e delle rappresentazioni. Questo approccio andrebbe nella direzione contraria a quella  dell’indottrinamento di parte e sarebbe il modo migliore per combattere teorie del complotto o  processi d’intenzione di ogni tipo.

Esteso al livello nazionale, grazie alla pratica e all’esperienza, questo processo consentirebbe un approccio del tutto nuovo al dibattito democratico: un dibattito necessario su numerose altre tematiche sulle quali dobbiamo cambiare radicalmente di opinione per assicurarci un futuro.

2.3. Immaginare il nostro futuro insieme

Dobbiamo progettare insieme il nostro futuro rimettendo in causa in modo pacifico e democratico le fondamenta della nostra società. L’unica buona notizia che ci viene dalle crisi che stiamo vivendo a ripetizione è che ormai una maggioranza di cittadini sembra convergere attorno al desiderio di cambiare radicalmente il modello di società.

Quanto più spazio si darà al processo democratico, tanto più facile sarà il passaggio a questo nuovo modello.

Quattro storie che sono quattro visioni del mondo, ma anche quattro spazi da esplorare quando si accompagnano i grandi cambiamenti.

Il nostro governo sembra aver scelto la via angusta del pensiero unico, della divisione e dell’imposizione forzata per imporre le sue opinioni. Ci sono però, e c’erano, altre opzioni. Sebbene non sia un compito piacevole, il mettere in discussione le motivazioni del governo farà parte del lavoro di ricostruzione che seguirà la grande crisi in cui stiamo entrando. Per il momento c’è da temere che questo atteggiamento non lasci altra scelta per una parte non trascurabile della popolazione, che la rivolta violenta (con le conseguenze che sappiamo), o la disobbedienza civile pacifica. A ciò si aggiunge un rischio di fuga in avanti verso la follia collettiva, un processo di cui non si conosce l’esito.

È questo il futuro oscuro che vogliamo? Come possono i democratici, consapevoli delle lezioni della storia, permettere che ciò accada? Dove sono i nostri “saggi”, dal momento che coloro che ne portano il titolo hanno disertato il ruolo politico e morale che spettava loro, rispetto alla situazione? Poiché, come abbiamo capito, ciò che sta accadendo attualmente a proposito della crisi sanitaria, per la sua portata globale e per le sfide che incombono sul funzionamento delle nostre democrazie, va ben oltre il semplice dibattito di idee e impegna in modo sostenibile il futuro delle nostre società… I nostri politici e un numero importante di intellettuali restano muti o sbalorditi dal cambiamento di quadro concettuale, e sembrando non comprenderlo, mentre una parte significativa dei cittadini ha capito.

A breve termine, ognuno di noi potrà contribuire al processo di comprensione e al dibattito ascoltando serenamente le differenze, e rifiutandosi di cadere nei processi d’intenzioni e nella confusione.

Per sbloccare la situazione dovremo contare su di un ampio slancio umanista, tollerante, pacifico e determinato ad evitare il peggio, ma soprattutto a prepararsi al meglio : un grande progetto per gli anni a venire.

Se avete preso la briga di leggere questo articolo fino alla fine, ve ne ringrazio. Potreste evidentemente concludere che tutto ciò è molto bello, ma che l’urgenza richiede che una delle due parti vinca sull’altra o sulle altre. Avrete quindi scelto il partito della divisione e della separazione dell’umanità in diverse categorie.

Potreste invece essere divisi tra diverse letture, con la consapevolezza magari che ogni storia è in realtà un riflesso di una parte di voi stessi. Potreste quindi aiutare a creare dei ponti e favorire il dibattito, la riflessione, l’evoluzione dei punti di vista e l’analisi delle informazioni. Sapendo che se una sola di queste narrative prevalesse a discapito o a disprezzo delle altre, saremmo invece trascinati in un unico pensiero totalitario.

Dobbiamo creare qualcosa di nuovo. La questione non è più quella di avere nuove idee, esse già esistono. Si tratta di imparare a connettersi con noi stessi e con gli altri in un modo radicalmente diverso e con una consapevolezza allargata per aprire una nuova traiettoria all’avventura umana.

Lettera ai miei figli

Essere liberi non significa solo
sbarazzarsi delle proprie catene,
ma vivere in un modo che rispetta
e valorizza la libertà degli altri.
Nelson Mandela

Cari ragazzi,

(scusate se vi chiamo così anche ora che siete grandi e – spero mai – vaccinati, io a cinquant’anni ero ancora la “bimba” per i miei genitori)…

cari ragazzi, tanto lontani ma tanto vicini al mio cuore, so che state bene, le nostre riunioni familiari virtuali me lo confermano : avete un lavoro, di che nutrirvi, un tetto per dormire, degli amici e degli amori per tenervi la mano. Non so invece se la vostra salute comprende anche il vostro stato interiore, la vostra stabilità emotiva e mentale, perché la mia, come quella di qualche milione di altre persone, è messa a dura prova in questi ultimi tempi.

Per questo permettetemi qualche considerazione, cominciando da delle banalità (attribuibili dunque alla mia poca stabilità psichica attuale, o alla senilità precoce, ma tant’è…).

Nei paesi in cui viviamo non c’è guerra (prima banalità).

Con ciò voglio dire che la nostra incolumità fisica non è, per il momento, minacciata da orde di talebani incarogniti o da bombe che piovono dal cielo. Ma lo è invece da altri pericoli, più subdoli, che ci domandano comunque una buona dose di coraggio.

Siete nati in paesi in pace, in una famiglia che ha potuto offrirvi affetto e agiatezza, in una casa accogliente, con viaggi e divertimenti, con scuole il più non-violente possibile (ne ho fatto il mio impegno personale, di questa ricerca), con cure mediche rispettose del vostro corpo e della vostra psiche, e persino una alimentazione biologica e naturale. Con tanti privilegi insomma. In quanto genitori, in quanto madre (parlo per me) ho senz’altro commesso degli errori dovuti al mio caratteraccio, ma di questo è sempre stato possibile parlare e sempre lo sarà, lo sapete.

Nel clima di benessere che ha caratterizzato la vostra infanzia, non siete mai stati confrontati alle sfide che hanno dovuto affrontare i vostri nonni nati durante la guerra (seconda banalità).

Neanch’io, per altro. Ma dei loro racconti ho ritenuto l’emozione e le tracce del dolore per la perdita di una madre (quella nonna che non ho mai conosciuto), per la povertà e il freddo di una casa senza più finestre, per la paura di quell’aereo alleato che si divertiva a spaventarli volando a bassa quota nella campagna toscana, per i bombardamenti delle case dei vicini, la perdita degli amici nel cuore della giovinezza, la stessa età che voi oggi, più o meno. Ho ritenuto e capito la lezione del loro coraggio, non quello incosciente della reazione impulsiva, ma quello che viene dal cuore, che ne è diretta emanazione: il coraggio consapevole di dire no a tutto ciò, alla violenza e alla guerra e alla negazione dell’altro nella sua persona, nella sua integrità fisica ma anche morale, etica, emotiva, spirituale. Il coraggio di dire sì alla libertà, e di ricostruire un paese uscito ferito dalla guerra, per ricominciare un po’ alla volta, con pazienza e tanta speranza di “farcela”.

Sono cresciuta in questo clima, condiviso da tutta la loro e la nostra generazione. Erano gli anni ’60 di cui insieme alla spensieratezza ho respirato, ripeto, anche una certa speranza e una fiducia di rinascita.

Non è degli errori però che voglio parlare qui, non del fatto che le basi di quella rinascita siano state costruite su fondazioni illusorie, come la certezza che il capitalismo sarebbe stata la soluzione a tutti i problemi dell’umanità, o che le gli idro-carburi sarebbero stati inesauribili e persino rispettosi dell’ambiente!

E’ del coraggio invece che voglio parlare (e questa non è una banalità).

Quello che sembra scarseggiare oggi, ma di cui dobbiamo tutti cominciare a rifornirci abbondantemente per vivere da umani. Vivere con dignità, ma soprattutto vivere in libertà. Nel diritto delle libertà acquisite e conquistate dai vostri nonni – e dalle vostre nonne le quali ebbero il diritto di voto solo nel dopoguerra- , ma anche nel riconoscimento di nuove libertà, come del diritto a scegliere la propria istruzione, quello di essere riconosciuti nella propria diversità sessuale, ed altri numerosi, per cui tanta gente – eroi spesso sconosciuti – ha dato la vita negli ultimi settant’anni di “pace”.

In Italia abbiamo la Costituzione, la “più bella del mondo”, come la chiama Benigni.[1] Ci vuole coraggio per vivere i valori espressi in quelle pagine.

Parlo della Costituzione italiana che conosco un po’ meglio, anche grazie alle lezioni fatte da quella professoressa (stessa età dei miei) che ce la leggeva alle medie asciugandosi gli occhi per l’emozione. Ci leggeva quelle parole altruiste, dalle quali trasuda un forte senso di moralità civile, ispirate da quei visionari dei padri fondatori, cioè dall’idea di uno stato basato sui diritti e i doveri della gente. Dei diritti inviolabili, i Diritti Umani, la cui natura va oltre la dimensione politica dell’idea di cittadinanza, per cui un individuo, pur non essendo cittadino, ha il diritto di essere protetto. Diritti definiti inderogabili e garantiti anche dai trattati europei, di cui ognuno può valersi dunque non solo nella propria nazione di nascita.

Ci vuole coraggio per difendere tutto ciò oggi.

Perché il mondo in cui vi trovate a vivere oggi, ragazzi miei, si fa beffe proprio di quei diritti che ci sembravano inviolabili, primo tra i quali quello espresso nell’articolo 32 della Costituzione che dice : « Nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.»[2]

Oppure, nell’articolo 3 sul Diritto all’integrità della persona della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per cui “Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica” e nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra l’altro, “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.[3]

Rispetto a ciò che di grave sta succedendo oggi, cioè all’imposizione del vaccino (sotto mentite spoglie di passaporto sanitario), ne deduco quindi che la legge non può imporre un farmaco senza il consenso libero e informato della persona, soprattutto nel caso in cui esso sia ancora in fase sperimentale, come è il caso. Ma ciò che è ancora più grave è l’introduzione dei mezzi di controllo (green pass e altre arbitrarie limitazioni della nostra libertà), di fronte alla quale siamo chiamati a farci delle domande etiche fondamentali, alle quali voi figli del benessere, non siete mai stati confrontati.

E qui viene il punto.

Bisognerà che vi armiate di coraggio: quello delle vostre voci che si alzano contro le attuali derive, che di sanitario hanno ben poco perché sono invece politiche.

Il coraggio di scegliere: tra una filosofia di vita basata sulla riflessione e l’azione (non-violenta), dove il dibattito contradittorio sia stimolato. O una vita da vivere nel giogo del ben pensare consensuale, nella “normosi” (quella sì, pandemia del secolo) che ci vuole tutti uguali, consenzienti e infantilizzati dalla paura (vedi il terrore alimentato dai media).

Dovrete imparare a stare ancora uniti come fratelli e sorelle di sangue o come semplici cittadini del mondo, a cercare nuove alleanze e gioiose complicità con chi si sta già organizzando.[4] La vostra forza sarà quella di creare una realtà inedita, fuori dai sentieri battuti, lontana dalle arroganze dei poteri istituiti. E’ da quel coraggio a servizio della giustizia, della stessa virtù di cui sono impastati gli eroi e le eroine dei miti universali, quei cavalieri Jedi che vi hanno fatto sognare nei racconti delle guerre stellari, che dovrete attingere, mani e cuore, a profusione.

Attenzione, il coraggio non è il contrario né della saggezza né della prudenza, anzi la saggezza del coraggio è la prudenza! Quella stessa forza non-violenta, ma ostinata, precisa, chiara come quella di Gandhi di fronte all’arroganza colonizzatrice, inamovibile, inderogabile : no, di qui non si passa, no, del mio corpo sono io solo a disporre… E proprio come Gandhi ci insegnato, non uccideremo l’altro né ci opporremo frontalmente ad un potere che per mezzi, forza bruta e denaro ci sovrasta senza misura. Dovremo invece imparare contornarlo, a giocare con la sua stessa energia, indossando le vesti dei praticanti di Aïkido, la via dell’armonia delle energie.

Un’ultima precisione: la prudenza non è neanche quella passività a cui lentamente, insidiosa come una vipera, senza che ce ne accorgiamo, rischiamo di abituarci (la stessa che ha portato alla dittatura per liberarci dalla quale, milioni di persone hanno combattuto). Questa è la forza di una non-violenza attiva.

Con coraggio illuminato, saggio, attivo, non-violento, giusto,  svegliamoci, svegliate chi dorme intorno a voi, apriamo gli occhi e agiamo, agite. Con gioia, guardiani della Vita, preparate il mondo che volete per i vostri figli, una realtà di cui voi sarete gli autori e che io, ottimista come sono, non so che vedere altro che bella.

Vostra madre, vicina.


[1] https://www.facebook.com/watch/?v=162152581815669

[2] https://www.cortecostituzionale.it/documenti/download/pdf/Costituzione_della_Repubblica_italiana.pdf

[3] https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2018-01-16&atto.codiceRedazionale=18G00006&atto.articolo.numero=0&atto.articolo.sottoArticolo=1&atto.articolo.sottoArticolo1=10&qId=&tabID=0.9438621902698823&title=lbl.dettaglioAtto

[4] https://reinfocovid.fr/ in Francia.

Auroville 2020 (preparando il 2046…)

Vista sul Matrimandir e la foresta di Auroville, il giorno di Pasqua 2020

Conosco, un po’, Auroville per averci soggiornato parecchie volte, l’ultima al momento della pandemia di Covid 19, tra marzo e maggio 2020. Il destino ha voluto che mi trovassi a passare il periodo di confinamento planetario in uno dei luoghi che amo di più al mondo, quello in cui vengo per rinvigorire la mia anima e la mia mente. Ed è così che ho scoperto un’altra Auroville.

Ho probabilmente vissuto ciò che, in modo visionario, Debora ha descritto come l’inizio del periodo di collasso della nostra civiltà, il gigante Golia dell’impero occidentale colpito da una fionda del piccolo David – Coronavirus. In Auroville 2046,* lei lo descrive come quello, molto più caotico, che preparerà lo spettacolare esodo degli abitanti della città, alla ricerca di una nuova “Arte di abitare la Terra”.

“Eccoci qui. Ci siamo”, ci preveniva, in modo altrettanto visionario, la scrittrice ambientalista Fred Vargas nel 2008, un testo riascoltato in quei giorni di confinamento anche ad Auroville.[1] Sì, credo anch’io, questa volta ci siamo davvero. Siamo all’alba di quella che lei chiama “la Terza Rivoluzione” il cui colossale programma è “senza voler offendere un termine caduto in disuso, essere uniti. Con i vicini, con l’Europa, con il mondo ” dice Fred. Un ambizioso programma anche per Auroville, la città dell’aurora, che fonda la sua Carta proprio sulla solidarietà attraverso l’unità umana.

L’Auroville del 2020 si sta forse preparando a diventare la città del 2046 così come descritta da Debora, la realizzazione del sogno dei cinquantamila abitanti voluto da Mirra Alfassa, la Madre.[2] Per me, il punto non è solo questo. Ma è piuttosto nella capacità che questo progetto umano ha di continuare ad esistere oggi, spinto dall’inspiegabile e sorprendente forza  che lo ha fondato nel 1968, la stessa sulla quale potrà contare per il suo sviluppo futuro, nel 2046 e oltre. È un’energia che sfugge a qualsiasi logica di comprensione umana, data (e se venite ad Auroville lo sentirete subito) dalla forza spirituale, sopra-mentale, che anima questo progetto. La medesima forza che sostiene la mia irrazionale ma ferma certezza: sì, un altro mondo è possibile e realizzabile per coloro che lo vogliono.

“Come sta rispondendo Auroville alla pandemia?” tanti amici mi hanno chiesto. Come è vissuto lì, questo periodo di trasmutazione? Essere al centro di un progetto nato per sperimentare la trasformazione interna ed esterna rende le persone diverse, speciali, più spirituali, più consapevoli? Mi dispiace non poter rispondere a queste parole perché questi due mesi sono stati per me prima di tutto un’avventura interiore. Ciò che comunque ho potuto osservare è la diversità delle reazioni degli Aurovilliani: su 3000 abitanti, 3000 reazioni diverse…

Perché nulla ha risparmiato Auroville 2020 dalla massa di domande, commenti, reazioni responsabili o comportamenti ribelli, a volte sostenute da ipotesi di cospirazione, le stesse che hanno scosso l’intero pianeta. Come tutti. E come quella fortunata minoranza che ne ha avuto l’opportunità, ho l’impressione che l’occasione sia stata anche per Auroville di cogliere questo periodo come un momento di riconnessione a se stessi, di meditazione interiore. Ma anche di riconnessione agli altri, negli atti di solidarietà che gli Aurovilliani hanno realizzato per venire incontro ai villaggi vicini (e, allo stesso tempo, per aiutare la sottoscritta, obbligata come lo sono stata al privilegio di un confinamento in un posto simile, grazie!).

La Terza Rivoluzione, quella del cuore, ha bisogno di un tempo d’incubazione necessario perché ci si possa rimboccare le maniche e costruire, non solo in India ma ovunque sul pianeta, l’Auroville del 2046: scoprire i bisogni di chi ti è vicino, unirsi, mangiare prodotti locali, risparmiare acqua, energia, dare un nuovo significato alle nostre azioni, tornare alle origini… Un tempo che risuona con la missione di evoluzione di Auroville, quella vivere la spiritualità nella materia, trasformare il piombo quotidiano e le nostre miserie, seccature e problemi, in oro, il nostro oro. E poiché, come dice bene Debora, nulla è normale, com’era normale una volta, ad Auroville come altrove “niente ci impedisce di ballare di nuovo la sera, non è incompatibile”![3]

* Auroville 2046 è un racconto che Débora Nunes e Pressenza mettono a disposizione dei lettori in 4 lingue (spagnolo, portoghese, francese e inglese). Da leggere e condividere.


[1]   Testo originale in francese « Nous y voilà, nous y sommes ! » http://www.yvesmichel.org/nous-y-voila-nous-y-sommes-texte-de-fred-vargas

[2]   Oppure no ! Personalmente – e non intendo con ciò aggiungere confusione al conflitto tra i “pro” Master Plan e i “contro” degli ambientalisti che gli si oppongono – mi chiedo come si riuscirà a contenere così tanta gente in perimetro così piccolo …

[3] Nous y voilà, nous y sommes ! Vedi la nota 1.

Stage a ROMA

…PER LA PRIMA VOLTA A ROMA!!!


EDUCARE ALLA GIOIA

modulo di base aperto a tutti

ROMA, 1- 2 marzo 2014
Educare dovrebbe essere sinonimo di benessere 
per gli insegnanti, i genitori e soprattutto per i bambini…

E se facessimo della felicità e della Gioia di vivere 
e d’imparare, i veri scopi dell’educazione e 

della relazione adulto-bambino? 


Lo stage, interattivo e articolato su 2 giorni, ha come obbiettivo di aiutare insegnanti, genitori, e tutti coloro che sono nel mestiere della trasmissione di conoscenza e savoir-faire a riscoprire la GIOIA come motore di conoscenza di sé e degli altri.

A partire da un condivisione delle esperienze dei partecipanti, la formazione fornirà delle nozioni teoriche, delle informazioni e soprattutto degli esercizi da proporre a scuola e a casa per vivere l’attuale momento di cambiamento nella prospettiva della GIOIA di vivere!

Il modulo di formazione è flessibile e richiede una partecipazione attiva degli iscritti.  



Formatrici 

ANTONELLA VERDIANI 
dottoressa in scienze dell’educazione, autrice, formatrice
(maggiori informazioni su questo sito : à propos de moi )
EVELYNE GIRARD
clown, arte-terapeuta, formatrice in espressione vocale

Quando? 
Sabato e domenica 1-2 marzo 2014
Sabato 9,30 – 17,30 

Domenica 10,00 – 18,00
Dove? 
Allo Zum Pa Pa in Via Britannia 70/a, Roma
Quanto? 
Dato che si tratta di uno stage di “scoperta”, la partecipazione è 
libera e “cosciente”!!
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI AL 328 1246677

STAGES per genitori ed insegnanti

Educare alla gioia©
Pistes e strumenti per diventare dei genitori e degli insegnanti 
creativi e felici 
Educare dovrebbe essere sinonimo di benessere, 
per i genitori, per gli insegnanti et 
ancor più per i figli, gli alunni…
E se facessimo della felicità e della gioia di vivere,
i veri obbiettivi dell’educazione ?  
Contenuto della formazione :
Questo stage
propone di scoprire, tramite un percorso
 ludico e interattivo, le tappe dell’Educazione alla Gioia© attraverso dei momenti di condivisione, degli esempi d’approcci educativi diversi et degli esercizi pratici che potrete riutilizzare a casa, con i vostri figli o alunni, e in tutte le situazioni. La formazione  si basa sulla partecipazione attiva e sul vissuto dei partecipanti.
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Formatrice :
Antonella Verdiani, dottore in scienze dell’educazione, autrice, conferenziere, formatrice
Secondo il tipo di stage (per insegnanti o per genitori) la formazione sarà co-animata da un secondo formatore.
 Inscrizioni e informazioni su richiesta  : 
antonellaverdiani@gmail.com

Mini seminario “Educare alla Gioia”

Mini seminario “Educare alla Gioia”
Firenze, Facoltà di scienze della formazione
3 febbraio 2011

Sulla scia dell’entusiasmo e della gioia (!) in seguito alla presentazione del modulo “Educare alla gioia” agli incontri dell’Ecologia di Die (Francia) il week-end scorso, animero’ una mini formazione per i futuri insegnanti, studenti della prof.ssa Silvia Guetta, alla Facoltà di Scienze della formazione, Università di Firenze, il 3 febbraio prossimo (alle 15, orario da confermare).